L’impossibilità di trasferire la residenza, a causa di forza maggiore, non preclude la possibilità di fruire dell’agevolazione prima casa. A stabilirlo è, con la sentenza n. 864 del 19 gennaio 2016, la Suprema Corte di Cassazione, secondo cui a nulla rileva che sia astrattamente ipotizzabile per il contribuente la possibilità di trasferire la propria residenza in altri immobili siti nello stesso Comune in cui si trova quello oggetto dell’acquisto.
Il tema dell’agevolazione prima casa, teoricamente di facile comprensione e non in grado di ingenerare dubbio alcuno, nella realtà è stato più volte oggetto dell’attenzione non solo dei giudici di merito ma anche di quelli di legittimità. La ragione di ciò è insita nel fatto che la nostra Amministrazione Finanziaria – comportamento avallato da certa giurisprudenza di legittimità che però proprio la sentenza di ieri smentisce – aveva dato al concetto di forza maggiore contorni così ristretti che, nella sostanza, lo stesso rimaneva lettera morta: la legge non parlava di forza maggiore, l’Amministrazione Finanziaria non la riconosceva. Questo almeno fino a ieri.
Chiariamo meglio la questione: la tassazione agevolata per l’acquisto della prima abitazione come sappiamo richiede che vi sia il trasferimento della residenza entro 18 mesi dalla data del rogito, in mancanza, addio agevolazione. Alla norma così ristretta, ha cercato di porre rimedio la giurisprudenza (da ultimo, cfr. ad esempio Cass. 6 agosto 2015 n. 16568 e Cass. 22 maggio 2015 n. 10586) che ha affermato che, laddove il mancato trasferimento della residenza sia imputabile ad un evento inevitabile, imprevedibile e non imputabile al contribuente che gli abbia, in concreto, impedito di trasferire la residenza come richiesto dalla norma agevolativa, non vi è ragione di far decadere lo stesso dalla suddetta agevolazione. Tutto chiaro, no?
Anche per l’Agenzia delle Entrate? Assolutamente no! Ed infatti la stessa si è prontamente sentita in dovere di spiegare che il trasferimento di “residenza” (lett. a della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86), deve essere fatto nel Comune in cui si trova l’immobile agevolato, senza però specificare – e qui sta la sottigliezza – che la residenza deve essere fissata esattamente nell’immobile acquistato col beneficio. Per meglio comprendere, l’Amministrazione Finanziaria sostiene che laddove un evento inevitabile, imprevedibile e non imputabile al contribuente impedisca allo stesso di trasferire la propria residenza nell’immobile acquistato con l’agevolazione, ciò non gli impedirebbe, tuttavia, di trasferirsi in un altro immobile, sito nello stesso Comune in cui si trova il primo: solo in questo modo, per il Fisco, verrebbe soddisfatta la condizione agevolativa.
Il ragionamento appare di difficile comprensione eppure molti uffici dell’Agenzia (non tutti per la verità) e certa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 5 aprile 2013 n.8415) – si spera solo fino ad oggi – sono andati diritti per questa strada ed hanno ritenuto che non vi fosse forza maggiore, ove l’evento considerato avesse impedito solo il trasferimento nel singolo immobile acquistato e non nell’intero Comune in cui questo ultimo si trovava: nella sostanza, la condizione relativa al trasferimento della residenza entro 18 mesi nel Comune non poteva così mai essere effettivamente “impedita”.
Tutto questo fino ad ieri perché la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 864 del 19 gennaio 2016, rileva l’illogicità di questa interpretazione che, per i Supremi Giudici, nella sostanza impone in capo al contribuente che non abbia potuto trasferire la residenza nell’immobile a causa di un evento di “forza maggiore”, un comportamento (ovvero il reperimento di un altro immobile nel medesimo Comune) ulteriore rispetto a quello già richiesto dalla norma agevolativa; comportamento però
illegittimo, poiché non trova appiglio nella lettera della norma.
Pertanto, ad avviso degli Ermellini, nella valutazione della decadenza dall’agevolazione prima casa per il mancato rispetto dell’impegno al trasferimento della residenza, deve tenersi conto della sopravvenienza di un evento – purché caratterizzato dalla non imputabilità, inevitabilità e imprevedibilità – che abbia impedito il trasferimento del contribuente nell’immobile acquistato; va da sé che il mancato rispetto dell’onere di trasferire la residenza non può essere giustificato da “generici motivi ostativi al trasferimento”, ma solo da eventi effettivamente non prevedibili e inaspettati fuori dalla portata indipendenti dalla volontà del contribuente di abitare nell’immobile acquistato. Per tale ragione, la Corte non ritiene sufficiente a provare la forza maggiore la mera circostanza del mancato compimento dei lavori di ristrutturazione, per ragioni tecniche o per lungaggini nell’ottenimento dei titoli abilitativi, essendo invece necessario dimostrare che l’evento che ha impedito la conclusione dei lavori fosse appunto non imputabile al contribuente, né evitabile né prevedibile.