Con la sentenza n. 135/2017, depositata il 7 giugno 2017, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Regione Veneto di legittimità dell’art. 1, comma 26, della Legge di stabilità 2016 (n. 208/2015) il quale, al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, in coerenza con gli equilibri generali di finanza pubblica, ha disposto la sospensione dell’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedano aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni ed agli enti locali rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015.
La Corte ha ritenuto fondata la eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dall’Avvocatura Generale dello Stato, per genericità dello stesso, che si limiterebbe a richiamare i parametri che si presumono violati, senza esporre in che modo essi risultino incisi. Ciò con riferimento alla costante giurisprudenza della stessa Corte, la quale ha affermato che
“nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione prospettata, ma ha anche l’onere di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi, dovendo, quindi, evidenziare e spiegare il quomodo del preteso vulnus, e non limitarsi a tesi meramente assertive in ordine al pregiudizio che la norma impugnata arrecherebbe alle attribuzioni regionali e, specificamente, alla autonomia finanziaria”.
Nell’impugnazione, la Regione Veneto avrebbe lamentato la negativa incidenza del “blocco” sulle attribuzioni regionali anche per il tramite di una lesione del principio di ragionevolezza , di quello del buon andamento della pubblica amministrazione, in correlazione con la stessa “cornice” costruita dalla legge n. 208/2015, con la sottostima dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) , riducendo il finanziamento statale del servizio sanitario nazionale, riducendo le basi imponibili di tributi regionali, prevedendo sanzioni per il mancato raggiungimento del pareggio contabile di bilancio.
A fronte di tali asserzioni, la Corte ha osservato che la ricorrente ha omesso di considerare le “deroghe” al blocco disposte dallo stesso comma 26 dell’art. 1 della Legge n. 208(2915, deroghe che incidono su come possa determinarsi il prelievo tributario, e, quindi, assumono un sicuro rilievo nella descrizione del rapporto tra quadro normativo presupposto e lesione dei parametri evocati per effetto del censurato comma 26.
Da tutto ciò consegue, sempre ad avviso della Consulta, la mancanza di chiarezza e di completezza richiesti per la proposizione di una questione di legittimità costituzionale, che, pertanto, è stata dichiarata inammissibile.