Con l’art. 13 comma 2 del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214 e successive modiche ed integrazioni si è stabilito che “i comuni possono considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unita’ immobiliare posseduta a titolo di proprieta’ o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata”.
La Legge di Stabilità 2015 (articolo 1 comma 10 L. 208/2015) ha introdotto una “nuova” agevolazione in materia di tributi locali. In particolare, è stato stabilito che, a partire dal 2016, la base imponibile dell’Imu è ridotta del 50% per le unità immobiliari, diverse da quelle classificate nelle categorie A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado (genitori e figli) che le utilizzano come abitazione principale.
Per poter usufruire della riduzione devono essere soddisfatte le ulteriori seguenti condizioni:
• il contratto di comodato deve essere registrato;
• il comodante deve possedere un solo immobile in Italia;
• il comodante deve risiedere anagraficamente nonché dimorare abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.
Per quanto riguarda la possibilità di usufruitre potenzialmente della suddetta riduzione bisogna in concreto verificare la effettiva sussistenza dei suddetti requisiti.
Relativamente alla possibilità che possa sussistere la condizione per la assimilazione dell’immobile in questione ad abitazione principale la questione è controversa ed è necessario svolgere alcune riflessioni. In relazione a quanto interpretato da alcune amministrazioni comunali si è portati ad ipotizzare che la ratio del legislatore fosse quella di agevolare l’anziano che tenendo la sua casa a disposizione, e cioè vuota, non occupandola in ragione del ricovero permanente, fosse almeno alleggerito dagli oneri fiscali dovendo comunque continuare a corrispondere gli oneri di manutenzione dell’immobile. Da tali oneri, sicuramente sarebbe sollevato qualora avesse concesso l’abitazione in locazione ove anzi avrebbe tratto anche un reddito, ma anche concedendo l’abitazione in comodato sarebbe stato esonerato da essi in quanto gli stessi graverebbero sul comodatario.
Un confine sottile separa il contratto di comodato dal contratto di locazione, creando in alcune circostanze una notevole confusione tra le due tipologie contrattuali e spesso anche delle spiacevoli conseguenze economiche oltre che giuridiche.
La nozione di comodato è contenuta nell’articolo 1803 codice civile il quale, al comma 1, afferma che: “il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito”.
La (sostanziale) gratuità distingue il comodato dalla locazione, infatti, se per l’uso della cosa altrui, mobile o immobile, è previsto un corrispettivo, il contratto che si configura è la locazione.
I tratti essenziali e distintivi del comodato sono:
• la natura reale, in quanto il perfezionamento del contratto si ha con la “consegna” del bene; affinchè il requisito della consegna sia rispettato, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la stessa non debba rivestire forme solenni, essendo sufficiente che il comodatario sia messo nella condizione di servirsi della cosa;
• la gratuità, ravvisabile nella incompatibilità di un corrispettivo a carico del comodatario per l’uso della cosa;
• l’unilateralità che, secondo la dottrina maggioritaria si configura nell’obbligazione del comodante di non poter chiedere la restituzione della cosa prima del termine convenuto.
Se in relazione alle caratteristiche delle realità e unilateralità non sono sorte particolari problematiche, più dibattuta è la natura gratuità del comodato, in quanto non è infrequente che nella pratica quotidiana al contratto di comodato sia apposto un onere, e che:
• il comodatario se ne serva per vantare sul bene che gli è stato concesso in uso, pretese e diritti che vanno ben al di là di quanto previsto e voluto dal legislatore con questa figura contrattuale;
• o che venga utilizzato dal comodante per mascherare un vero e proprio contratto di locazione che comporterebbe obblighi, spese e oneri ben più gravosi.
Per eliminare ogni equivoco sulla gratuità del comodato modale è intervenuta in modo significativo la Corte di Cassazione con la sentenza 28.5.1996, n. 4912, chiarendo: “Affinché il comodato non perda la sua natura essenzialmente gratuita, è necessario che l’interesse del comodante non abbia di per sé contenuto patrimoniale, ovvero, pur avendolo, si tratti di una prospettiva di un vantaggio indiretto e mediato, o comunque di un interesse secondario del concedente, il cui vantaggio non si trovi in un rapporto di corrispettività con il beneficio concesso al comodatario”.
Sulla tale dibattuta questione diverse pronunce, alcune precedenti e altre successive alla Cassazione menzionata, ne hanno in sostanza confermato l’interpretazione, precisando che trattasi di comodato modale e non di locazione immobiliare il contratto in cui il comodatario è tenuto a pagare i tributi e le spese per l’immobile (Cassazione n. 2534/1958); a provvedere al pagamento dei canoni periodici di acqua e luce (Cassazione n. 3834/1980); a fornire energia elettrica al fabbricato, sostenere le spese di riparazione del fabbricato e custodire lo stesso (Cassazione n. 9718/1990); a pagare contributi di bonifica e le spese giudiziali per la difesa della proprietà di un fondo agricolo (Cassazione n. 3021/2001). È chiaro quindi che un contributo modesto da parte del comodatario alle spese per le utenze, ad esempio, non possa qualificarsi come “canone”, difettando il requisito della corrispettività per l’uso del bene.
Pur essendo essenzialmente gratuito, è inoltre possibile richiedere al comodatario di provvedere a ogni spesa condominiale o al versamento di una somma periodica a titolo di rimborso spese, la cui entità lasci ragionevolmente escludere la dissimulazione di un sottostante contratto di locazione (Cassazione n. 4976/1997).
Naturalmente occorre quantificare il “contributo” del comodatario, al fine di evitare la simulazione di un contratto di locazione. Sulla base di tali riflessioni, quindi, si ritiene che, se la somma risulta essere puramente simbolica, totalmente al di fuori degli importi richiesti dal mercato per la locazione o l’affitto, non si possa configurare una controprestazione o un corrispettivo e quindi la riqualifica del contratto in questione come un contratto di locazione.