L’imposta di soggiorno, detta anche tassa di soggiorno, in Italia, è un’imposta di carattere locale applicata a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive di territori classificati come località turistica o città d’arte.
La legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale ha aperto in Italia nuovi scenari di autonomia per gli enti locali; in questo contesto il settore turistico è stato subito interessato al mutamento in atto L’imposta di soggiorno è stata, infatti, reintrodotta nell’ordinamento italiano con due distinti provvedimenti che sono:
1) Il Decreto Legge 31 maggio 2010 n. 78 che, solo per il comune di Roma, ha stabilito la possibilità di introdurre un contributo di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive della città, da applicare secondo criteri di gradualità in proporzione alla loro classificazione fino all’importo massimo di 10,00 euro per notte di soggiorno.
2) Il decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, ha conferito ad altri comuni la facoltà di istituire l’imposta di soggiorno. Più precisamente ai sensi del comma 1 dell’articolo 4 del suddetto decreto, i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno.
Le modalità di applicazione sono molto diverse e vanno dal versamento di un importo fisso a un importo variabile, con scaglioni associati alle tipologie e categorie alberghiere, con aliquote percentuali, con scaglioni associati al prezzo, alla localizzazione e al periodo e, in alcuni casi, un’aliquota percentuale o una misura forfettaria.
L’applicazione dell’imposta avviene secondo criteri molto eterogenei sia per le tariffe applicate sia per le modalità di applicazione, entro il limite dei 5 euro previsti dalla legge. Nel testo si legge che “i Comuni (…) potranno istituire un’imposta di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive del proprio territorio. L’imposta sarà applicata con gradualità, fino a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno, in proporzione al prezzo. Il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali”.
Ben possono quindi i Comuni, con proprio regolamento, adottare o meno l’imposta a seconda delle proprie autonome esigenze di bilancio.
Gli albergatori poi hanno l’obbligo di comunicare alla Prefettura i soggiorni dei clienti. Quindi, l’eventuale accertamento va fatto in primo luogo chiedendo agli albergatori di comunicare le risultanze di detti registri; in subordine, l’amministrazione deve effettuare un accesso e un accertamento sul posto con le dovute modalità di legge.
Relativamente poi all’eventuale applicazione – in mancanza di dati certi – dell’imposta con riferimento al numero dei posti letto di cui alla licenza, si deve tenere conto del fatto che si tratta di una modalità accertativa di carattere induttivo, che cioè parte da dati certi per raggiungere un risultato che però certo non è ma frutto di una valutazione dell’Ufficio; il presupposto di imposta è il soggiorno effettuato da una persona (art.4 del D.Lgs n. 23 del 14 marzo 2011 e art.52 del D.Lgs 446/97 sulla potesta’ regolamentare) per cui l’accertamento induttivo sui posti letto, come sopra specificato, non appare sostenibile nemmeno se previsto nel regolamento.
Sul tema si richiama l’attenzione sugli articoli pubblicati nella Rivista Finanza Territoriale alla voce ENTRATE TRIBUTARIE ENTI LOCALI IMPOSTA DI SOGGIORNO, corredati dalla recente giurisprudenza e dai pareri della Corte dei Conti sulla qualifica di Agenti Contabili dei gestori delle attività ricettive (n.d.r.)