Sul ricorso prodotto dal Comune di Pistoia avverso la sentenza della CTR di Firenze di annullamento di un avviso di accertamento ICI 2006 a seguito di riclassamento di alcune unità immobiliari ex art. 1, commi 336-337 della Legge n. 311/2004, la Cassazione è intervenuta con l’ordinanza n. 24368/2016, pubblicata il 29 novembre 2016.
Secondo la sentenza CTR impugnata la ruralità del fabbricato, oggetto dell’accertamento, derivava dalla esistenza di un contratto di mezzadria dal quale si evinceva la strumentalità dell’immobile al servizio della attività agricola, in armonia con il dettato dell’art. 9, comma 3, del D.L.n. 557/1993.
Il Comune ha eccepito la violazione e/o falsa applicazione di tutta la normativa di riferimento.
La Cassazione ha proceduto ad una attenta disamina delle disposizioni legislative attinenti alla fattispecie, osservando in primo luogo che l’art. 7, c-2 bis del D.L. n. 70/2011 ha conferito ai contribuenti la facoltà di presentare all’Agenzia del Territorio la domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle classi A/6 e D/10 (a seconda della destinazione ad abitazione o strumentale) con una autocertificazione attestante il possesso dei requisiti della ruralità in via continuativa a decorrere dal quinto anno prima della domanda. Con il successivo art. 3, comma 14 bis del D.L. n. 201/2011 il legislatore ha previsto che le domande di variazione producessero i loro effetti relativi al requisito della ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo. Infine, il D.L. n. 102/2013, con l’art, 2, c. 5 ter, ha interpretato il suddetto art. 3, comma 14 bis, nel senso che le domande di variazione presentate ai sensi del D.L. n. 70/2011 producono i loro effetti a decorrere dal quinto anno antecedente quello di presentazione della domanda.
Da ciò la pronuncia della Cassazione secondo cui l’effetto conseguente alla richiesta di classamento nella categoria D/10 di cui alla fattispecie in oggetto debba appunto retroagire fino ai cinque anni precedenti.
Il contribuente avrebbe quindi sostenuto il possesso del requisito della ruralità sulla base della domanda di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie A/6 e D/10 presentata nel settembre 2011 con la relativa autocertificazione. Il Supremo Collegio ha però rilevato che l’allegazione di fatto nel giudizio di merito di tale circostanza non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata, né risulta alcun cenno nel ricorso, mentre era onere del contribuente stesso indicare momento e luogo della deduzione, onde evitare il rilievo della deduzione per la prima volta in sede di legittimità, con la conseguente inammissibilità della stessa, principio questo, confermato anche dalla recente sentenza della Cassazione, n. 7038/2016.