L’esenzione ICI per gli immobili ecclesiastici non riguarda la concorrenza e non produce nessuna alterazione del mercato, perché attiene ad ambiti, settori e servizi svolti con modalità non imprenditoriali, in cui gli obiettivi sociali perseguiti hanno rilevanza.
A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25508/2015 del 18 dicembre 2015. La fattispecie posta all’attenzione della Suprema Corte riguardava tre avvisi di accertamento, notificati per altrettante annualità d’imposta, relativi ad un immobile di proprietà di un Ente di culto con sede nello Stato della Città del Vaticano, e concesso in comodato d’uso gratuito a una Onlus, per perseguire le finalità di assistenza e formazione a favore di studenti universitari; tale finalità, sostenevano i ricorrenti, giustificava l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del DLgs. n. 504 del 1992.
Non la pensava così la Commissione tributaria provinciale adita che rigettava il ricorso, sul presupposto che l’immobile non era utilizzato direttamente dall’Ente, venendo così meno un requisito essenziale per il riconoscimento della pretesa esenzione. Tale ragionamento veniva confermato anche dai Giudici Regionali che respingevano l’appello e la questione giungeva quindi innanzi ai giudici di legittimità.
In Cassazione, i ricorrenti contestavano come, a loro avviso, non fosse rilevante il fatto che il bene in questione fosse utilizzato dal comodatario e non dal concedente, perché il comodatario utilizzava il bene in attuazione dei compiti istituzionali dell’ente concedente, al quale era legato da un vincolo di strumentalità.
Ribaltando entrambe le decisioni di merito, la Cassazione accoglieva il ricorso di parte affermando che, l’“utilizzazione diretta del bene da parte dell’ente possessore”, è condizione necessaria per l’esenzione ma solo nelle ipotesi di “locazione” del bene ad altro ente o di “concessione di beni demaniali”. Solo in questi casi, infatti, la ratio della limitazione è individuabile nell’effetto distorsivo che, in tali situazioni, si determina rispetto alle finalità tutelate dalla norma (l’esercizio di attività “protette”), in quanto il bene viene utilizzato dal possessore per “una finalità economica produttiva di reddito” e non per lo svolgimento dei compiti istituzionali.
Trattasi di fattispecie ben diverse da quella sottoposta all’attenzione dei giudici, in cui sia l’Ente di culto che l’ente “concretamente utilizzatore” erano enti non commerciali e l’immobile era concesso in comodato gratuito e non in locazione onerosa; in questo caso poi, i “compiti istituzionali” realizzati mediante l’utilizzo dell’immobile erano previsti tra le “attività” giudicate “meritevoli” dalla disposizione agevolativa e comuni ai due enti, che li prevedevano entrambi tra le proprie finalità istituzionali e tra i due enti esisteva un rapporto di stretta strumentalità nella realizzazione dei suddetti compiti, che autorizzava a configurarli come “realizzatori di una medesima architettura strutturale”.
La sussistenza del requisito, sia soggettivo che oggettivo, deve essere in sostanza accertata caso per caso, in considerazione del fatto che sarebbe ingiustificato che lo Stato gravasse quelle realtà, ecclesiali e non, che perseguono fini di interesse collettivo.
Per tutte tali ragioni, i Giudici di Piazza Cavour non hanno ravvisato quell’effetto distorsivo che impone l’utilizzo diretto da parte dell’ente possessore; la tesi del resto trova un illustre precedente nella risoluzione n. 4/DF del 4 marzo 2013, in cui l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del DLgs. n. 504 del 1992 spetti nell’ipotesi in cui l’immobile sia concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell’ente concedente per lo svolgimento di un’attività meritevole prevista dalla norma agevolativa.