Il trattamento di favore che la legge 208/2015 ha riservato all’abitazione principale, riporta in primo piano un tema complesso costituito dall’individuazione dei requisiti per accedere ai benefici connessi.
L’intervento normativo non agisce sulla definizione della fattispecie, che rimane quella descritta dal comma 2 dell’articolo 13 del dl 201/2011, già oggetto di imposizione ai fini IMU per il 2012 e 2013, sostituita, nel 2014 e 2015, con il nuovo tributo Tasi. Il comma 2 mantiene la previsione secondo cui Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.Come ricorderemo, l’ICI si limitava alla dimora abituale mentre la residenza rappresentava una presunzione relativa della dimora (Cass. 14389/2010) sconfessabile con dati di fatto. Nell’IMU, la residenza anagrafica è un essenziale requisito di forma che compare accanto alla dimora del nucleo familiare.
Proprio su quest’ultimo aspetto il contenzioso viene alimentato dalla mancata definizione di nucleo familiare che, nell’ordinamento italiano, assume significati diversi oltre a quello proprio delle risultanze anagrafiche. Nella valutazione dei requisiti bisogna partire dalla residenza per comprendere cosa può fare o meno un soggetto. La residenza è definita dal codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo. Concorre ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass. 5 febbraio 1985, n. 791). La residenza non viene meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago (Cass. 12 febbraio 1973, n. 435) né viene meno per aver destinato parte del bene a un uso diverso. Sul punto si richiama una vecchia risoluzione ministeriale del 19 novembre 1993, n. 723 che, esprimendosi in materia di ICI, esplicitamente dichiara come non abbia rilevanza la circostanza che l’immobile sia dato in affitto.
Analogo discorso per la locazione parziale. Il Ministero, in materia di IMU, nella FAQ n. 12 precisa che “… anche se parzialmente locata, l’abitazione principale non perde tale destinazione e, pertanto, a partire dal 1° gennaio 2014, beneficia dell’esenzione dall’IMU prevista per tale fattispecie …”.
La norma richiede il possesso dei requisiti non solo da parte del possessore dell’immobile ma anche del suo nucleo familiare, pur non definendone le caratteristiche. Questo non significa ammettere ogni situazione, ma costringe ad analizzare e interpretare caso per caso, per comprendere se, effettivamente, la residenza in capo al contribuente non sia in realtà fittizia ed elusiva dei benefici connessi non solo all’abitazione principale ma anche alla prima casa ai fini erariali. L’analisi va rivolta verso gli elementi sintomatici. L’assenza del coniuge nello stesso nucleo rappresenta un sintomo sul quale indagare partendo dalla verifica del requisito più facile da contestare, costituito dalla dimora abituale. Le utenze elettriche sono sicuramente in grado di fornire una prova importante sull’effettivo utilizzo del bene ma che va rapportato ad altri elementi, quali lo stile di vita del contribuente, che potrebbe spostarsi per diversi giorni all’anno in luogo ben lontano per motivi di lavoro o di studio (situazione ammessa dalla stessa nozione di residenza), nonchè legami sociali e di vita col territorio.
Da questo punto di vista può trovare spiegazione anche l’interpretazione ministeriale a maglie larghe. Infatti per completare il ragionamento sull’abitazione principale, bisogna chiamare in causa la seconda parte della norma Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.Parte della dottrina, anche avallando l’interpretazione contenuta nella circolare 3/DF/2012, ritiene che la limitazione del riconoscimento del beneficio dell’abitazione principale ad un solo immobile, quando le due abitazioni si trovino nello stesso comune, sia il solo caso in cui si può negare il requisito e che pertanto nessuna limitazione opererebbe nel caso in cui le abitazioni fossero in comuni diversi.
In realtà non si ravvede nella norma questo intento, ma esattamente l’opposto: in linea di principio si ha abitazione principale quando l’intero nucleo familiare risiede nella medesima unità.
Sul punto va richiamata l’interessante sentenza della CTR Lombardia 746/2015, che sottolinea l’importanza della residenza della famiglia per ottenere l’abitazione principale ai fini ICI. Soluzione pienamente applicabile anche all’IMU e conseguentemente alla Tasi.
Ancora, la CTR Lombardia, con la sentenza 782/2016, rileva che i consumi elettrici rappresentano una misurazione specifica, diretta, strumentale della frequenza e intensità con la quale una famiglia convive in un determinato immobile per le necessità di sopperire alle ore di buio, di conservare i cibi al fresco, di riscaldare gli interni nelle giornate più fredde e così via. La contribuente, fatto dimostrato ed incontestato nella sua misurazione, ha avuto negli anni consumi pressocchè uguali a zero ma contesta solo il fatto che non è coniugata e non ha figli e consuma il tempo libero fuori casa e pretende una molteplicità di prove presuntive che il Comune non avrebbe dato. “A contrario” questo Collegio ritiene che il Comune abbia dimostrato con dovizia di particolari che ad un consumo medio giornaliero unipersonale di kw. 2,00 la contribuente si colloca a 0,34 kw., sufficiente per illuminare appena due lampadine.
Nonostante i pareri dissonanti, ma prendendo atto di un filone della giurisprudenza di merito che va in tal senso, si ritiene che la valutazione del requisito del nucleo familiare vada effettuata partendo dalla residenza anagrafica e dalla dimora del possessore e del nucleo famigliare, considerando la vocazione dell’immobile e le eventuali peculiarità di vita della persona, che possono o meno spiegare la separazione apparente dei coniugi.
Operativamente, può essere di ausilio l’individuazione con apposite linee guida di parametri concreti da applicare ai singoli casi oggetto di verifica, mirando all’obiettivo di individuare le evidenti residenze fittizie che non possono passare del tutto inosservate.