Celentano è stato profetico. Negli anni sessanta cantava: la dove c’era l’erba ora c’è…una città. Dalla campagna alla città: entro una trentina d’anni, sette persone su dieci vivranno in una metropoli. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite un flusso enorme di persone si sta spostando rapidamente nelle aree cittadine, attratto da migliori prospettive di vita e, ovviamente, di lavoro.
Spiegamento imponente di polizia, strade chiuse alla circolazione e barriere di sicurezza, domenica 16 ottobre, così si presentava l’ingresso del parco al centro città di Quito. Il quartiere di Marsical non era mia stato sottoposto ad un simile livello di sicurezza, ma l’evento che ospita è eccezionale per lui stesso.
Dal 17 al 20 ottobre, tutti gli attori delle questioni urbane (eletti locali, rappresentanti della società civile, universitari, professionisti dell’urbanismo, vari privati… più di 23.000 persone complessivamente) partecipano, nella direzione della Casa della Cultura equadoregna, situata nel cuore del parco, alla terza conferenza delle Nazioni Unite sull’alloggio e lo sviluppo urbano durevole, più comunemente chiamato Habitat III.
Ebbene gli esperti del Programma dell’Onu per gli insediamenti umani certificano che nel 2030 tredici delle 15 megalopoli con più di 20 milioni di abitanti si troveranno in Paesi in via di sviluppo. Secondo le stime dell’organizzazione il 56% della popolazione mondiale, nel 2015, vive in un ambito urbano. Questa cifra’ dovrebbe attestarsi al 60% nel 2030 e al 70% verso il 2050, mentre all’inizio del secolo era solo il 10%.
Secondo i dati, presentati in apertura dell’incontro nella capitale equadoregna, nel mondo ogni settimana la popolazione delle città aumenta di oltre un milione. Fino a giovedì al centro della conferenza ci saranno la ricerca di soluzioni sostenibili per i trasporti, il trattamento delle acque reflue, la gestione dei rifiuti e altri problemi cruciali in un mondo sempre più urbanizzato.
Avviato nel 1975 con la creazione di una Fondazione delle Nazioni Unite per l’habitat e gli insediamenti umani, il principio dell’ONU di un incontro sull’urbanizzazione ha preso corpo l’anno dopo a Vancouver (Canada) in occasione di Habitat I, ed è già stata fatta la constatazione di una urbanizzazione anarchica e di disparità crescenti tra città e campagne, affìdando agli Stati il compito di correggerne le derive.
Venti anni dopo, a Istanbul, mentre l’urbanizzazione continuava il suo sviluppo, emerge la problematica del diritto all’alloggio e quello dell’accesso ai servizi pubblici. Di fronte all’incapacità dello Stato pianificatore, Habitat II fece appello all’azione decentralizzata delle autorità locali per razionalizzare l’espansione urbana.
Oggi è dunque la capitale andina che si propone di esplorare “la città, l’invenzione più complessa dell’umanità”, secondo Gustavo Baroja, prefetto di Pichincha, la provincia di Quito, uno degli oratori dell’assemblea mondiale dei Sindaci convocata il 16 ottobre come preludio di Habitat III.
Ma Habitat III non ha come esclusiva finalità di offrire un forum di dibattito ed un quadro di analisi sulla crescita delle città. “Questa terza conferenza deve anche strutturare la comunità urbana intorno ad un’agenda”, fa notare Laure Criqui, ricercatrice all’Istituto dello sviluppo durevole e di relazioni internazionali (Iddri). I 193 Paesi rappresentati a Quito si lasceranno il 20 ottobre dopo aver steso una dichiarazione, frutto di due anni di negoziati preparatori, destinati a fissare le grandi linee di questa nuova agenda urbana.
Anche se non vincolante, questa “dichiarazione di Quito” (un testo di 166 articoli e 21 pagine, formalizzato dopo due anni di riunioni regionali e tematiche) resta un esercizio difficile così come le questioni relative all’urbanizzazione evolvono velocemente -spinta migratoria, lotta contro la povertà, marginalizzazione di alcuni quartieri, densità dei trasporti, la pressione dei terreni, impatto sul riscaldamento climatico, rivendicazioni cittadine. Molto più velocemente rispetto al rito degli incontri dell’ONU.