L’area marina protetta delle Cinque Terre è un modello europeo per la zonizzazione delle aree di tutela e per l’uso di dissuasori contro la pesca a strascico illegale. E’ quanto emerge dalla relazione della Corte dei Conti Ue sulle misure Ue per l’ambiente marino.
Ma, secondo la relazione speciale della Corte dei conti europea pubblicata ieri, l’azione dell’UE non ha condotto al recupero di ecosistemi e habitat marini significativi. Il quadro normativo UE per la protezione dell’ambiente marino non va abbastanza in profondità da riuscire a riportare i mari ad un buono stato ecologico ed i fondi dell’UE raramente sostengono la conservazione di specie e habitat marini. La Corte ha rilevato che le aree marine protette forniscono una protezione effettiva limitata, mentre continua ad esservi praticata una pesca eccessiva, specialmente nel Mediterraneo.
L’UE è impegnata a proteggere l’ambiente marino tramite le proprie politiche in materia di ambiente e pesca. Le principali politiche in materia di ambiente marino sono definite nella direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e nelle direttive Uccelli e Habitat; esse prevedono, tra l’altro, l’istituzione di una rete di aree marine protette. La politica comune della pesca dell’UE mira a garantire, mettendo a disposizione fondi, attività di pesca sostenibili dal punto di vista ambientale e con un impatto negativo minimo sugli ecosistemi marini. L’UE non è però riuscita ad arrestare la perdita di biodiversità marina nei mari d’Europa.
“Data la loro importanza economica, sociale e ambientale, i mari costituiscono un vero tesoro. Tuttavia, l’azione dell’UE non è finora riuscita né a far tornare i mari europei ad un buono stato ecologico, né la pesca a livelli sostenibili”, ha affermato João Figueiredo, il Membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione.
“L’audit della Corte segnala chiaramente una situazione allarmante riguardo alla protezione dei mari dell’UE”. Nella pratica, il quadro normativo dell’UE fornisce una protezione soltanto limitata della biodiversità marina. Le più di 3000 aree marine protette rappresentano probabilmente la misura più emblematica di conservazione dell’ambiente marino. Tuttavia, sebbene tali aree costituiscano una ampia rete di protezione, la Corte rileva che tale rete non va in profondità. Quanto detto è in linea con una recente valutazione dell’Agenzia europea per l’ambiente, secondo cui meno dell’1 % delle aree marine protette europee potevano essere considerate riserve marine soggette a una protezione totale. Per essere efficaci, le aree marine protette dovrebbero coprire in modo sufficiente le specie marine maggiormente minacciate ed i relativi habitat, comprendere restrizioni alla pesca, ove necessario, ed essere ben gestite. Ciò è lungi dall’essere il caso oggi. Analogamente, gli strumenti di regolamentazione che collegano la politica dell’UE sulla biodiversità marina alla politica in materia di pesca non funzionano, di fatto, correttamente. Nelle zone marine esaminate dagli auditor della Corte, tali strumenti non sono ancora stati usati con successo. La normativa dell’UE include disposizioni sulle specie e sugli habitat minacciati. Dette disposizioni hanno più di 25 anni e non tengono conto delle recenti conoscenze scientifiche. La pesca ha un impatto considerevole sull’ambiente marino.
Sebbene la politica comune della pesca abbia avviato un miglioramento degli stock ittici nell’Atlantico, nel Mediterraneo non vi è stato alcun segno concreto di progressi. Nel Mediterraneo, la pesca raggiunge livelli doppi rispetto a quelli sostenibili. L’AEA ha di recente segnalato che solo il 6 % degli stock esaminati nel Mediterraneo rispettava i criteri del “rendimento massimo sostenibile”. Secondo le politiche dell’UE, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere utilizzati per sostenere la protezione dell’ambiente marino, ma solo una piccola quota di essi è usata per tale finalità. Per il periodo 2014-2020, al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) sono stati assegnati 6 miliardi di euro. Tuttavia, la Corte stima che i quattro Stati membri da essa visitati (Spagna, Francia, Italia e Portogallo) ne avevano utilizzato solo il 6 % circa per interventi direttamente collegati alle misure di conservazione e un ulteriore 8 % per misure aventi un impatto meno diretto sulla conservazione. Di questo ammontare, meno di 2 milioni di euro (0,2 %) erano stati utilizzati per limitare l’impatto della pesca sull’ambiente marino. Ciò detto, i fondi UE possono fare la differenza, come osservato in buoni esempi di progetti finanziati tramite il programma LIFE e l’iniziativa Interreg dell’UE.