C’è fervore intorno alla spinta dell’Europa per un impiego dell’idrogeno verde; prodotto, cioè, per idrolisi da energie rinnovabili, all’interno di una ristrutturazione del sistema energetico continentale. Naturalmente, le lobby e i poteri economici si stanno già scontrando a favore del cambiamento o della conservazione, la competizione si gioca tra lo spostamento verso i vettori elettricità e idrogeno rispetto al mantenimento di un ruolo del metano in una lunga e complessa fase di transizione.
Una scelta resa ancora più stringente dal Covid, se non si vogliono aggravare ulteriormente le condizioni climatiche di salute e inquinamento derivanti dalla combustione di carbone, gas e petrolio, che a questo punto non lascia altra scelta che mettere sul tavolo un piano di fattibilità.
In questo contesto il caso di Civitavecchia si colloca come prioritario sia per questioni oggettive date da un carbonifero insostenibile e una collocazione geografica favorevole (uno snodo logistico con un porto al bordo del terreno della centrale da smantellare) sia per la presenza di una coscienza ambientale diffusa tra la cittadinanza con comitati locali a favore delle rinnovabili e contro i fossili. La questione riguarda anche i tempi e le decisioni da prendere per evitare lo smacco della destinazione dei fondi europei ad altre nazioni più sollecite nella presentazione di progetti innovativi, oltre 180 miliardi di euro, con la possibilità di arrivare a 500 entro il 2050, stanziati dalla Commissione Europea per l’idrogeno green e l’energia pulita, tutti elementi che inducono a valutare l’idea degli elettrolizzatori a idrogeno rinnovabile.
Da anni Civitavecchia si batte contro la combustione in atmosfera di fossili per produrre elettricità a basso prezzo estremamente dannosi per la salute, gli enti energetici provano a rinnovare i loro impianti inquinanti nella convinzione che la cittadinanza locale si rassegni una volta in più come d’altronde è già accaduto nella bassa padana, in Puglia o lungo le rive del Mar Ligure, dove sono state rianimate le centrali che nel tempo diventavano obsolete. Ma dopo il Covid 19 e con la prospettiva di una crisi economica che richiede un cambiamento divenuto necessario e improcrastinabile nel modo di produrre e consumare, l’Italia avanza comunque a rilento rispetto ad una strategia energetica sottoposta a riconversione in tutta Europa.
Il caso Civitavecchia potrebbe diventare esemplare concentrando le risorse intellettuali, economiche e professionali per riconvertire l’intero territorio in base ad un modello basato su 100% rinnovabili, zero emissioni climalteranti e idrogeno da rinnovabili come vettore complementare all’elettricità, niente gas, né tantomeno gassificatori. Naturalmente, occorre presentare un progetto complessivo, avere alle spalle validi centri di ricerca e finanziamenti, stringere un’alleanza con la cittadinanza dell’intero territorio che vada al di là del perimetro del sito carbonifero.
Proprio perché lo stesso porto di Civitavecchia vive una crisi che parte da lontano e che si è aggravata con il Covid, bisogna andare oltre le soluzioni settoriali, con una visione integrata che tenga conto dell’intero sviluppo della logistica, della cantieristica navale, dello sviluppo di un turismo che valorizzi la bellezza del paesaggio e la storia culturale. Esistono studi e progetti dettagliati europei che suggeriscono soluzioni distinte per singole aree geografiche e comparazioni effettuate con grafici, proiezioni e tabelle, dimostrano che il ricorso al gas è definito “a bassa ambizione” rispetto all’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili e un onere dal punto di vista del cambiamento climatico e dal punto di vista economico. Il ricorso all’idrogeno prodotto da rinnovabili, oltre alla funzione di stoccaggio di energia, avrebbe un’applicazione virtuosa sia per le banchine del porto che per il ridisegno della mobilità su strada, su tratti di ferrovia minori e per il trasporto via mare. Certo, molti sono ancora gli elementi da considerare, ad esempio, bisogna evitare che le piccole aziende metalmeccaniche che oggi vivono con l’indotto della Centrale ne risentano e quindi una delle prime cose da mettere a punto sarebbe un piano di transizione, con la possibilità di realizzazione in loco degli impianti e delle attrezzature necessarie, che mettano in relazione anche buona occupazione, salubrità dell’aria e clima. Ma è stato stimato che in un panorama europeo che possa raggiungere la neutralità climatica nel 2040, il costo dell’energia diminuirebbe rispetto all’attuale del 17% e la nuova occupazione raggiungerebbe i 6 milioni.