Nella pronuncia 1298/2018 i giudici del Consiglio di Stato chiariscono che il diritto all’accesso ai documenti spettante al consigliere regionale, anche nell’ipotesi di atti riservati, soggiace a limitazioni solo nel caso in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa.
La giurisprudenza in tema di diritto di accesso ai documenti da parte dei consiglieri comunali e provinciali, e, per estensione, anche regionali, spiegano i giudici di Palazzo Spada,ne ha ravvisato il limite proprio nell’ipotesi in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione. L’accesso, in altri termini, deve avvenire in modo da comportare il minore aggravio possibile per gli uffici comunali, e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche o meramente emulative.
L’accesso ai documenti esercitato dai consiglieri comunali e provinciali, e, per estensione, anche regionali, espressione delle loro prerogative di controllo democratico, non incontra alcuna limitazione in relazione all’eventuale natura riservata degli atti, stante anche il vincolo del segreto d’ufficio che lo astringe. Inoltre tale accesso non deve essere motivato, atteso che, diversamente, sarebbe consentito un controllo da parte degli uffici dell’Amministrazione sull’esercizio delle funzioni del consigliere. La locuzione aggettivale “utile”, contenuta nell’art. 43 del t.u.e.l., concludono i giudici d’Appello, non vale ad escludere il carattere incondizionato del diritto (soggettivo pubblico) di accesso del consigliere, ma piuttosto comporta l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato “utile” per l’esercizio delle funzioni.