Sono trascorsi due anni dalla proposta di mettere in campo un Piano per le periferie, presentata da Renzo Piano al Governo di Matteo Renzi. Con la Legge finanziaria 2016 viene così alla luce il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei Comuni capoluogo di provincia”. Indubbiamente, un fatto nuovo. Lo stanziamento iniziale è di 500 milioni di euro. A regime, tuttavia, anche con l’impiego di fondi Ue, si raggiunge la somma totale di due miliardi di. Di conseguenza, l’anno scorso è stato emanato un bando per i progetti dei Comuni. Ne è scaturita una graduatoria, pubblicata a gennaio sulla Gazzetta Ufficiale all’interno del decreto che finanzia i primi 24 progetti su 120 presentati. Alle città capoluogo sono stati destinati al massimo 18 milioni e alle città metropolitane 40 milioni. Il primo posto l’ha conquistato Bari. Seguono Avellino, Lecce, Vicenza e Bergamo. Al 24 posto troviamo la città metropolitana di Bologna, al 120 posto chiude Urbino. Milano non è entrata in lista come capoluogo di provincia, ma è riuscita ad aggiudicarsi i 40 milioni della città metropolitana per un progetto per la periferia est nel quartiere Adriano. Per vincere, i progetti devono basarsi su un virtuoso rapporto tra pubblico e privato. Tutto liscio come l’olio? Non esattamente. Non sono mancate polemiche sui criteri e sulla destinazione dei fondi, oltre che sulla complicata macchina burocratica che governa l’impresa. Il monitoraggio dell’iniziativa è affidato a una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con l’Anci. Decisiva sarà la fase esecutiva, che ci dirà se effettivamente le periferie degradate delle grandi e medie città del Belpaese risorgeranno o, comunque, ne avranno concreto giovamento. Qualcuno ha recentemente ricordato che, salvando le periferie, si salveranno le città, ma soprattutto l’intera nazione.