La Corte di Cassazione nella sentenza sez.trib del 30 ottobre 2015 n.22216 ha svolto la propria funzione nomofilattica in relazione al criterio di delimitazione della soggettività passiva d’imposta in materia di I.C.I., cogliendo l’occasione per precisare le differenze sulla natura degli istituti di sequestro penale e di confisca di cui all’art. 2 ter, L. 575/1965, anche alla luce della recente entrata in vigore del nuovo Codice in materia di antimafia.
La riflessione degli Ermellini prende spunto dalla tesi – considerata errata – della contribuente, la quale sostiene che la soggettività passiva d’imposta sia legata alla disponibilità del bene. Invero, già precedente giurisprudenza della stessa Corte aveva fatto luce sulla questione, indicando l’esatta interpretazione del combinato disposto degli artt. 1, 2° comma e 3 del D.Lgs. 504/1992. La sentenza in esame, senza soluzione di continuità con il precedente orientamento, ribadisce che “la nozione di possesso di fabbricati, aree fabbricabili e di terreni agricoli, di cui al D.Lgs. n. 504/1992, art. 1, comma 2, va riferita propriamente a quella corrispondente alla titolarità del diritto di proprietà o di diritto reale minore sull’immobile (D.Lgs. 504/1992, art.3)”.
In forza di detta interpretazione, la Suprema Corte ritiene corretta la statuizione della CTR Puglia nella parte in cui afferma che il sequestro penale non comporti la perdita della titolarità dei beni sottoposti a tale misura. Il sequestro penale ha natura di provvedimento di prevenzione, e mira alla sola limitazione di circolazione e godimento dei beni cui è applicato, senza comportarne l’acquisto della titolarità del diritto di proprietà in capo allo Stato.
Diversamente, chiarisce la Corte, la confisca ha natura di sanzione amministrativa di carattere ablatorio, il che comporta il trasferimento del bene che ne costituisce l’oggetto nel patrimonio dello Stato.
In questo senso, la Corte di legittimità rigetta il ricorso della contribuente, ritenendo corretto il percorso interpretativo della CTR Puglia, a seguito del quale stabiliva l’obbligo, per la contribuente, di pagare l’annualità d’imposta I.C.I. sull’unità immobiliare fino all’intervento del provvedimento di confisca (e quindi per tutta la durata del provvedimento di sequestro, nonostante essa ne avesse perso la disponibilità sin dall’emissione del sequestro stesso).
Nell’ultimo passaggio della sentenza, la Corte di Cassazione precisa inoltre che il principio di diritto relativo alla delimitazione della soggettività passiva dell’imposta I.C.I. è da applicarsi a tutte le controversie sorte anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs n. 159/ 2011 (c.d. Codice Antimafia), così come modificato dal D.Lgs n. 175/2014, poiché tale normativa, all’art. 51, stabilisce invece che “durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca e, comunque, fino all’assegnazione o destinazione dei beni a cui si riferiscono, è sospeso il versamento di imposte, tasse e tributi dovuti con riferimento agli immobili oggetto di sequestro il cui presupposto impositivo consiste nella titolarità del diritto di proprietà o nel possesso degli stessi”.