Il Bel Paese sta facendo passi da gigante per affermarsi come modello virtuoso di economia circolare, vale a dire valorizzando un modello di sviluppo economico in grado di riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi.
Adottare un approccio circolare, invece, significa rivedere il funzionamento dell’intera filiera coinvolta in ogni ciclo produttivo: dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita – bisogna riuscire a cogliere ogni opportunità per ridurre al minimo l’apporto di materia prima, energia in ingresso, scarti e perdite, cercando di prestare maggiore attenzione anche alla prevenzione delle esternalità ambientali negative.
Primi in produzione, primi in gestione dei rifiuti, sul podio anche per consumi, investimenti e mercato delle risorse prime seconde. Interrogata in tutte le materie dell’economia circolare, l’Italia passa l’esame a pieni voti, guadagnandosi l’etichetta di prima della classe. L’Italia è prima in Europa per l’economia circolare. Nella classifica delle cinque principali economie europee il nostro Paese con 103 punti di indice complessivo di ‘circolarità’ delle risorse batte il Regno Unito (90 punti), la Germania (88), la Francia (87), e la Spagna (81).
È il dato che emerge dal primo rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2019, realizzato dal Circular economy network (la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e 13 aziende e associazioni di impresa) e dall’Enea, presentato a Roma. Ma il report mette in evidenza che non bisogna adagiarsi perché proprio guardando all’avanzamento dell’indice di circolarità – che tiene conto del valore attribuito al grado di uso efficiente delle risorse, utilizzo di materie prime seconde e innovazione nelle categorie produzione, consumo, gestione rifiuti – l’Italia sta rallentando mentre gli altri Paesi stanno “prendendo slancio anche grazie al nuovo pacchetto di direttive Ue”: nel 2018 abbiamo conquistato un solo punto in più rispetto all’anno precedente; mentre per esempio la Francia ne ha incrementati 7, e la Spagna 13.
Puntare sulla ricerca e l’innovazione, sulla creazione di un Piano nazionale, migliorare gli strumenti, rilancio del ruolo della città e della rigenerazione urbana, accelerazione sull’approvazione delle direttive europee, e infrastrutture ad hoc. Questi alcuni punti del decalogo per rilanciare l’economia circolare ma anche la sostenibilità ambientale, e per ridurre le emissioni di gas serra e aumentare la competitività dell’Italia. Secondo il decalogo – messo a fuoco dal primo rapporto sull’economia circolare presentato oggi a Roma dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e il Circular economy network – è necessario “diffondere e arricchire la visione, le conoscenze, la ricerca e le buone pratiche” come il risparmio e l’uso più efficiente delle materie prime e dell’energia; di energia rinnovabile; prodotti di più lunga durata e basati su utilizzi condivisi; una riduzione della produzione di rifiuti favorendo e il riciclo. Inoltre si deve “implementare una Strategia nazionale e un Piano d’azione per l’economia circolare per affrontare carenze e ritardi, migliorare l’utilizzo degli strumenti economici attraverso la responsabilità estesa dei produttori, valutare gli incentivi pubblici esistenti, e un riequilibrio del prelievo fiscale; tra le altre cose o promuovere la bioeconomia, assicurare la sicurezza alimentare e l’agricoltura di qualità, estendere l’economia circolare negli acquisti pubblici con l’utilizzo dei Green public procurement, programmi per le città di rigenerazione urbana, attivare rapidamente le pratiche di end of waste (con i decreti che coinvolgono circa 7.000 imprese italiane).