Città metropolitane non più subordinate a tutto campo alle Regioni, ma con una fisionomia e un ruolo chiaro che muova da tre principi di base: risorse dedicate, funzioni autonome quanto certe, pari dignità istituzionale, così come sancito dalla Costituzione e dalla riforma stessa. Sono questi i punti centrali discussi nel corso dalla riunione di coordinamento dei sindaci delle Città metropolitane, svoltasi due giorni fa a Roma nella sede Anci di via dei Prefetti. Presieduto dal presidente dell’Associazione dei Comuni italiani, Antonio Decaro, e dal coordinatore delle Città metropolitane Anci, Dario Nardella, l’incontro è servito per fare il punto sulla proposta di revisione della legge Delrio, che l’Anci sta predisponendo per poi presentarla al Governo. E sarà Reggio Calabria a esporre il fil rouge della riforma.
Il mandato è arrivato quando tutti i Sindaci, riuniti a Roma da Anci Città Metropolitane, hanno ufficialmente affidato al Sindaco Giuseppe Falcomatà e al vicesindaco Riccardo Mauro la delega a rappresentare un ammodernamento della legge n. 56 del 2014 (“Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di comuni”) direttamente all’esecutivo di Palazzo Chigi. Un riconoscimento importante per il territorio reggino. “Sia dal punto di vista tecnico sia da quello politico – hanno detto all’unisono il Sindaco e il vicesindaco di Reggio Calabria – la nostra Città metropolitana esce fortemente rafforzata, imponendosi sul palcoscenico della politica nazionale quale guida di un progetto legislativo molto importante per l’architrave amministrativa dell’intero Paese”.
“Il quadro politico è cambiato – ha sottolineato Decaro nel suo intervento – e se prima c’era un Governo che spingeva molto sulle Città metropolitane volendo chiudere le Province con un referendum, adesso le posizioni sono cambiate e si valuta anche un ritorno alle elezioni dei Consigli provinciali. A prescindere dalle posizioni in campo – ha aggiunto Decaro – l’Anci rappresenta 14 Città con tutta la loro autorevolezza. E’ evidente che la nostra proposta sarà presa in considerazione, a patto che sia la più unitaria e forte possibile”. “Diciamo no alle Città metropolitane ‘cugine sceme’ delle Regioni” ha detto con un pizzico di ironia Dario Nardella, mettendo l’accento sulla necessità di “un profilo autonomo, chiaro e non stiracchiato delle Città metropolitane rispetto alle concomitanze e competenze delle Regioni. Dobbiamo tendere a una visione d’insieme, che abbia una connotazione chiara sulla pianificazione strategica, sull’autonomia fiscale e sul ruolo di coordinamento sul territorio del sindaco metropolitano”.
Per rappresentare propulsione e sviluppo le Città metropolitane debbono definire macro-obiettivi di sistema promuovendo restyling e inclusione delle periferie, export e internazionalizzazione per la crescita delle imprese dei diversi territori, valorizzazione degli asset culturali e del turismo, sviluppo della logistica e della mobilità sostenibile. Proprio in virtù di questi obiettivi sono state orientate le azioni del progetto “Metropoli strategiche” portato avanti dall’Anci nell’ambito del Pon governance e capacità amministrativa, che nel suo primo anno di attività ha evidenziato i seguenti focus: il corretto svolgimento della funzione di pianificazione strategica a livello metropolitano, finalizzata in primo luogo alla rigenerazione urbana e allo sviluppo economico. Se da tempo, infatti, la riqualificazione delle città è al centro dell’agenda politica, attraverso una corretta interpretazione del Piano strategico metropolitano, alcune città stanno orientandosi verso una direzione innovativa; non più quella del solo intervento fisico su spazi ed edifici, ma un’azione complessa di “ricostruzione” di comunità tramite strumenti d’innovazione sociale, incubazione d’impresa e sostegno all’occupazione fondati sulla relazione con le comunità di quartiere, con le associazioni civiche e con gli imprenditori locali, chiamati ad essere parte attiva di questo processo di cambiamento. Individuando i confini ex provinciali coincidenti con quelli delle Città metropolitane, la riforma ha quindi affidato loro il governo di territori di grande complessità, in cui alla città consolidata e alle ampie aree di sprawl periurbano si affiancano vasti territori classificati come aree interne, piccoli Comuni e aree montane. Basti pensare che su oltre 1.300 Comuni sono 274 quelli metropolitani classificati come periferici o ultraperiferici: il 20,5%, con tutto il loro portato di squilibrio demografico, rischio idrogeologico e potenziale economico da valorizzare. In questo nuovo processo centrale dovrà essere, infine, il ruolo delle Città metropolitane nel governo del territorio per rispondere con resilienza agli effetti del cambiamento climatico e al rischio del dissesto idrogeologico.