L’UE ha ratificato l’Accordo di Parigi. Ora il prossimo grosso appuntamento è in Marocco (7-18 novembre 2016) per la COP22. Ma cosa prevede e che tipo di accordo è quello di Parigi? La lotta al cambiamento climatico ha assunto importanza a partire dagli anni ’70, parallelamente al crescente consenso (all’interno della comunità scientifica) sulla correlazione tra l’aumento delle emissioni di gas serra e il surriscaldamento del pianeta. Una sua prima tappa fondamentale resta l’adozione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nation Framework Convention on Climate Change-UNFCCC) che per la prima volta prevede misure di riduzione delle emissioni, in particolare per i paesi industrializzati (principali responsabili delle emissioni), firmata a New York il 9 maggio 1992. Queste misure sono poi diventate obbligatorie grazie al Protocolo di Kyoto (mai ratificato dagli USA- l’alibi cui il Presidente Bush si è aggrappato è stata l’assenza di target vincolanti per i Paesi in via di sviluppo, ed emergenti) con obblighi da cui Cina, India, Brasile e altre potenze emergenti, e in via di sviluppo, sono stati esclusi sulla base del principio dell’impegno differenziato secondo le diverse condizioni socio-economiche e di sviluppo.
L’Organo istituito per definire le regole di implementazione del Protocollo di Kyoto e per monitorarne l’applicazione è la cosiddetta Conferenza delle parti (Cop) che si riunisce una volta l’anno. Il Protocollo di Kyoto scadeva nel 2012. Da qui il difficile negoziato che si è poi concluso – il 12 dicembre 2015 – con l’adozione del cosiddetto Accordo di Parigi della Cop 21. Con questo Accordo, 195 Stati si sono accordati per mantenere l’aumento della temperatura terrestre “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali” con l’impegno di “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”. I Paesi firmatari hanno anche deciso di mettere fine il prima possibile all’aumento delle emissioni di gas serra e arrivare nella seconda parte del secolo a una situazione in cui la produzione di nuovi gas climalteranti sarà abbastanza bassa da essere assorbita naturalmente dall’ambiente.
Nel testo dell’accordo si prevede anche che i Paesi più ricchi dovranno versare 100 miliardi di dollari ogni anno a quelli più poveri per sostenerli nello sviluppo di fonti energetiche a basso impatto ambientale. Ogni cinque anni si farà il punto della situazione sui progressi fatti. Per entrare in vigore, l’Accordo di Parigi (COP21) deve essere approvato almeno da 55 Paesi (dei 195 che hanno partecipato alla sua contrattazione) rappresentanti almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. Si tratta – inoltre – di un accordo ‘misto’, nel senso che alcuni elementi sono di responsabilità dei governi nazionali altri della Unione europea (UE). Per questo deve essere ratificato sia dalla UE che dai suoi Stati membri. Ora, a distanza di quasi un anno, la Conferenza prevista dal 7 al 18 novembre 2016 a Marrakech (COP22) potrebbe ora costituire un momento decisivo nella storia della governance climatica. Verosimilmente è in Marocco che entrerà in vigore l’Accordo di Parigi sul clima, visto che – grazie al sì dell’Unione europea – si soddisfano entrambi i requisiti per la sua entrata in vigore a livello globale (ossia la ratifica da parte di un minimo di 55 Paesi rappresentativi di almeno il 55% delle emissioni).
In effetti – solo dopo la ratifica di Cina e Stati Uniti, avvenuta il 3 settembre 2016, e dopo quella dell’India, che ha preceduto i deputati europei di pochi giorni – il Parlamento europeo ha ratificato, quasi all’unanimità, l’Accordo di Parigi sul clima (COP 21), con 610 voti a favore, 31 contrari e 38 astenuti. La decisione UE è accolta con favore da Greenpeace, che parla di “mossa positiva anche se giunta in ritardo rispetto ad altri Paesi come Cina e Usa”, ma chiede adesso “più ambizioni”. Il Wwf, invece, denuncia il ritardo nella ratifica da parte dell’Italia e si chiede se effettivamente l’Italia voglia intraprendere la strada della decarbonizzazione.
Se non si agirà in tempo, ben preso, ai profughi in fuga da fame e conflitti, si aggiungeranno sempre di più profughi climatici costretti ad abbandonare le loro case, in fuga dagli effetti indotti dal riscaldamento globale: tra i Paesi maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici, ci sono le piccole isole del Pacifico, in balìa dell’innalzamento del livello del mare, ma anche – come nelle Filippine – di eventi meteo estremi). Uno studio recente di sette noti studiosi (tra cui l’ex capo del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu -Ipcc, Robert Watson) sostiene che i target stabiliti alla Cop21 andrebbero raddoppiati, se non addirittura triplicati. Non a caso, quindi, per spingere nel senso giusto, Focsiv e altre sette organizzazioni cattoliche impegnate nella difesa dei diritti umani e dell’ambiente hanno annunciato di ritirare i propri investimenti dai Fondi che sostengono le imprese di estrazione e commercio di combustibili fossili, per un loro reinvestimento in energie rinnovabili e pulite. A Marrakech – a novembre – durante la prossima Conferenza sul clima (COP222) si inizierà a negoziare su come i Paesi dovranno in concreto mantenere gli impegni presi a Parigi: se nel 2015 si era deciso il cosa, quest’anno si dovrà negoziare sul come dell’accordo.