Ai sensi della Circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012, ai fini dell’applicazione della disciplina dell’IMU sperimentale nei confronti dei soggetti che operano in agricoltura, per la definizione di coltivatore diretto occorre evidenziare che il codice civile inquadra tale figura nella categoria dei piccoli imprenditori di cui all’art. 2083, senza darne una definizione chiara e generale, ad eccezione del riferimento operato dall’art. 1647 al soggetto che coltiva il fondo “col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia”. Inoltre, dalle leggi speciali emergono diverse definizioni di carattere settoriale dalle quali possono, comunque, evincersi degli elementi comuni ai fini di una nozione onnicomprensiva e, precisamente, il fatto che il soggetto si dedichi direttamente e abitualmente alla coltivazione del fondo, con lavoro proprio o della sua famiglia, e che la sua forza lavorativa non sia inferiore ad un terzo di quella complessiva richiesta dalla normale conduzione del fondo.
Per quanto riguarda, invece, la definizione di imprenditore agricolo professionale (IAP), iscritto nella previdenza agricola, le norme sull’IMU rinviano all’art. 1 del D. Lgs. n. 99 del 2004, il quale individua tale soggetto in colui che dedica alle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il 50% del reddito globale da lavoro. Lo stesso art. 1 al comma 3, stabilisce che la qualifica di IAP possa essere riconosciuta anche alle società di persone, cooperative e di capitale, anche a scopo consortile, qualora lo statuto preveda come oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile e che siano in possesso dei seguenti requisiti:
“nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale;
per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari” (lettera a);
“nel caso di società di capitali o cooperative, quando almeno un amministratore che sia anche socio per le società cooperative sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale” (lettera c).
Ai fini del riconoscimento alle società della qualifica di IAP è necessaria, però, l’ulteriore condizione rinvenibile nello stesso art. 1, comma 5-bis, del D. Lgs. n. 99 del 2004, in base al quale “l’imprenditore agricolo professionale persona fisica, anche ove socio di società di persone o cooperative, ovvero amministratore di società di capitali, deve iscriversi nella gestione previdenziale ed assistenziale per l’agricoltura. Ai soci lavoratori di cooperative si applica l’art. 1, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142”. Il riconoscimento della qualifica di IAP alla società avviene, pertanto, solo nel caso in cui: lo statuto della società preveda l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, ricorrano i requisiti di cui al comma 3 dell’art. 1 del D. Lgs. n. 99 del 2004 ed i soggetti di cui al predetto comma 3 siano iscritti nella gestione previdenziale ed assistenziale per l’agricoltura. Detto inquadramento logico-sistematico della materia ha come conseguenza quella per cui non è più possibile limitare la nozione di IAP alle sole persone fisiche, conclusione avvalorata dalla circostanza che l’art. 59 non è più richiamato dall’art. 14, comma 6, del D. Lgs. n. 23 del 2011. L’art. 59, infatti, al comma 1, lett. a), prevedeva che i comuni potessero stabilire ulteriori condizioni ai fini dell’applicazione delle disposizioni del secondo periodo della lettera b) del comma 1 dell’art. 2 del D. Lgs. n. 504 del 1992, “riguardante i terreni considerati non fabbricabili, anche con riferimento alla quantità e qualità di lavoro effettivamente dedicato all’attività agricola da parte dei soggetti di cui al comma 2 dell’articolo 58 e del proprio nucleo familiare”.