Domani, 23 giugno, è il Brexit-Day. L’appuntamento, che non è esagerato definire storico, è con il referendum mediante il quale il popolo britannico dovrà decidere se rimanere o uscire definitivamente dall’Unione europea, giacchè il Regno Unito non ha mai adottato l’euro. Una scelta che fa tremare i polsi ai mercati finanziari, che temono terremoti nelle Borse e persino l’avvento di una nuova recessione internazionale. “Il rischio è che un’incertezza prolungata nell’Unione europea, anche su decisioni fondamentali come l’Unione dei mercati dei capitali, possa determinare turbolenze nei mercati finanziari”. Lo afferma, ad esempio, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. “In assenza di interventi di natura politica – aggiunge – si fa sempre riferimento a possibili interventi della Bce. Ma la Bce non può migliorare le condizioni strutturali dell’economia, né aumentare l’integrazione tra i diversi Paesi: può solo intervenire per evitare gli effetti negativi del materializzarsi di alcuni rischi”. Secondo Visco, “i rischi potrebbero colpire il mercato azionario, quello dei titoli pubblici, il mercato valutario, la valutazione e il finanziamento delle banche; per i rischi legati a carenze di liquidità la Bce può intervenire con tutti gli strumenti che ha a disposizione. Ma non vi sono nuove misure create ad hoc per far fronte al rischio d’instabilità finanziaria che potrebbe colpire alcune economie: gli strumenti ci sono già. Pensiamo, per esempio, alle Omt, che sono state pensate nel 2012 per difendere l’area euro dal rischio di frammentazione e di ridenominazione: questi sono dunque rischi su cui si può intervenire con gli strumenti già esistenti. Ma nessuno di questi strumenti può affrontare problemi di natura strutturale.
Se la domanda è – prosegue il governatore – quanto l’Italia si trovi in posizione di svantaggio rispetto ad altri paesi, sappiamo che non siamo messi molto bene, ma secondo alcuni indicatori di sensibilità a Brexit, tra i 20 Paesi più in pericolo in caso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea l’Italia si trova agli ultimi posti. Ai primi ci sono paesi molto integrati con il Regno Unito sul piano reale o su quello finanziario, quali Irlanda e Lussemburgo; anche per Francia e Germania gli effetti potenziali sono considerati maggiori che per l’Italia. Il nostro interscambio di beni e servizi con la Gran Bretagna è intorno al 3% del Pil”.