Sono 5.627, in Italia, i Comuni con meno di cinque mila abitanti pari al 69,9% del totale di quelli presenti nel nostro Paese (8.047). E’ il dato fornito dal Cresme Consulting che, col sostegno di Unioncamere, ha realizzato il rapporto dal titolo: “Piccolo (e fuori dal) Comune”, presentato recentemente in occasione del convegno: “La modernità dei piccoli Comuni”, organizzato da Legambiente e da Anci. Secondo il dossier, le Regioni con la presenza più significativa di piccoli Comuni sono nell’ordine: il Piemonte (1.068 su 1.206); la Lombardia (1.061 su 1.530); la Campania (335 su 550) e la Calabria (323 su 409). In Sicilia, su 390 Comuni, gli enti di piccole dimensioni sono 205 (52,6%). Dal rapporto emerge purtroppo ancora una volta il divario tra Nord e Sud, con le Regioni centro-settentrionali che, consolidando il loro carattere imprenditoriale, hanno rafforzato l’importanza dell’hinterland “diventato fattore strategico di coesione e di sviluppo, se fortemente integrato al centro principale”, mentre la Sicilia, insieme alla Campania, alla Puglia e le aree interne dell’Appennino, fa parte di quei territori della “buona volontà”, dove prevalgono da sempre le attività legate alla cultura, al turismo e all’agricoltura e nei quali, nonostante sforzi e potenzialità, è stato “limitato il passivo”, ma risultano impoveriti dal punto di vista economico, sociale e infrastrutturale.
In particolare, secondo i dati dell’Atlante dei Piccoli Comuni 2015 dell’Anci (dati gennaio 2013), sul fronte della ricettività turistica, in Sicilia, il numero dei piccoli Comuni con agriturismi (84 con un’incidenza del 3,5%) e B&B (114 per un’incidenza del 4,0%) è comunque ridotto rispetto ad altre regioni italiane come Piemonte e Lombardia, mentre a livello nazionale negli ultimi anni, proprio l’ospitalità turistica nei piccoli Comuni è cresciuta meno di quella urbana. Altri fattori ai quali è legata la crisi degli enti di piccole dimensioni sono riconducibili allo spopolamento, all’invecchiamento e all’inattività, alla popolazione straniera che resta inferiore rispetto alla media nazionale. Segnali di ripresa arrivano, invece, dai laureati, cresciuti in 20 anni il doppio della media italiana, anche se il deficit storico si attesta ancora al -26% rispetto alla stessa. Le abitazioni occupate sono 4.345.843 a fronte di 1.991.557 non occupate: quasi una vuota ogni due occupate, ovvero una ogni cinque abitanti, mentre in città sono una ogni 15. Gli alloggi vuoti rappresentano dunque una grande opportunità di riutilizzo abitativo, sociale e turistico. Il dossier si conclude con un’indicazione forte: servono nuovi abitanti, soprattutto giovani, e occorre valorizzare culture materiali e immateriali per rilanciare l’economia e “(ri)creare identità antiche e nuove”.