In questi giorni il Governo si sta cimentando con tutte le questioni spinose sul tappeto, dal negoziato con la Commissione Ue per ottenere maggior flessibilità sui conti alla definizione della legge di stabilità; dal tentativo di rispettare la promessa di abbassare le tasse, per non perdere la faccia, all’imperativo di evitare l’aumento dell’Iva, per non parlare delle modifiche al regime pensionistico in discussione. Uscita anticipata, sì, ni, come e quando… E tuttavia la quadratura del cerchio appare impresa ardua, soprattutto quando le promesse azzardate rischiano di essere un boomerang. Le prime difficoltà per l’esecutivo si registrano sul fronte Ue. Il negoziato con Bruxelles non va secondo le aspettative. Lo si evince da una battuta del Ministro Pier Carlo Padoan: «Non chiederemo flessibilità aggiuntiva». Da quella frase si capisce che le ragioni dell’Italia non stanno incontrando particolare accoglienza nelle sedi europee. Segno che nella Commissione sta prevalendo un’interpretazione restrittiva delle regole. Venendo poi alla manovra finanziaria, si scoprono le altre gatte da pelare che il Governo deve risolvere. Già da qualche settimana, Tesoro e Palazzo Chigi lavorano a una manovra il cui saldo complessivo si aggira intorno ai 25 miliardi di euro. Gran parte di quella cifra dovrà essere impegnata per sterilizzare una clausola di salvaguardia da 15 miliardi, pena l’aumento dell’Iva. Per la manovra vera e propria sarebbero disponibili soltanto dieci miliardi. Finora, il Governo ha sperato di finanziarla con un po’ più deficit di quello promesso a Bruxelles nell’ultimo documento di finanza pubblica: invece dell’1.8%, fino al 2.3%, appena un decimale in meno del livello di indebitamento fissato per quest’anno. Eppure, ottenere quei dieci miliardi non è affatto scontato. Di qui le dichiarazioni di Padoan, rese a Porta a Porta: la manovra non conterrà nessun taglio Irpef nel 2017; sarà finanziata da nuove entrate per almeno quattro miliardi di euro (una nuova finestra per il rientro dei capitali all’estero); la lotta all’evasione ne frutterà almeno quindici. Bisogna infatti ricordare che nel corso degli ultimi due anni Roma ha chiesto ben tre clausole di flessibilità: per le cosiddette circostanze eccezionali, per le riforme e gli investimenti. Una comunicazione della Commissione del 2013 dava il via libera a queste eccezioni ogni qual volta il procedere delle riforme le giustificasse. Ma, nel frattempo, l’Ecofin, ha deciso che quelle clausole non possono essere invocate anno per anno. Ecco perché Padoan si è lasciato scappare che «non chiederemo flessibilità aggiuntiva». Evidentemente sta prendendo atto che in quella direzione non si può procedere con Bruxelles. In effetti, l’unica clausola alla quale il Governo può attualmente realisticamente appellarsi riguarda la situazione straordinaria causata dalla Brexit e dal più generale rallentamento dell’economia. Clausola che dovrebbe però essere applicata a tutti i partner dell’Unione e che, comunque, non cuba i dieci miliardi che servono a Palazzo Chigi. Sarà Matteo Renzi a risolvere il rompicapo?