La riforma delle Province ha generato soltanto semplificazioni e risparmi immaginari? La domanda non è peregrina e il “caso” è sempre al centro della contesa tra le forze politiche, anche in vista del referendum sulla riforma costituzionale. C’è chi la esalta come una tappa fondamentale del rinnovamento del sistema delle autonomie locali e chi, invece, la considera l’emblema del “cattivo” riformismo del Governo. Al di là delle opinioni, forse è meglio stare ai fatti se si vuole pervenire a una valutazione il più possibile obiettiva della situazione concreta in cui versano questi enti intermedi. Il criterio di giudizio più immediato è quello elettorale. A partire da questo mese di agosto, fino al gennaio del prossimo anno, si andrà al voto praticamente ogni settimana per rinnovare la composizione di moltissime Province, sia pure nella formula dell’elezione di secondo livello (praticamente la stessa senza suffragio diretto che verrà introdotta se vincerà il Sì al referendum per il Senato). Soltanto tra agosto e settembre, in sette Province importanti si andrà alle urne: il 3 agosto si è votato a Ravenna; il 28 agosto sarà la volta di Macerata e Pavia; il 30 agosto di Mantova; il 31 di Campobasso; l’11 settembre di Vercelli; il 18 di Treviso. Molte altre dovranno decidere il proprio destino in un quadro normativo disomogeneo e disorganizzato. I paradossi non mancano. Ci sono Province il cui presidente è decaduto o dimissionario e sono rette da più di 18 mesi da un vicepresidente; altre nelle quali il consiglio provinciale ha cessato la sua attività, mentre presidente e giunta sono rimasti in carica, senza indennità, per ulteriori tre mesi. E poi c’è il caso delle Province della Sicilia che voteranno per la prima volta con il nuovo sistema l’11 settembre, ma se lo statuto lo dovesse prevedere, potrebbero tornare all’elezione diretta. La ricerca di una nuova identità per queste “semi-Province” è testimoniata anche dalla difficoltà nel trovare loro un nome. In Lombardia potrebbero essere ribattezzate “cantoni”, in Piemonte “quadranti funzionali”, in Sicilia “liberi consorzi”, in Friuli “unioni territoriali intercomunali”. Ma si parla anche di “circoscrizioni”, “autonomie locali”, “micro-contee” e via così. Anche il capitolo risparmi è controverso. Secondo l’Upi, a fronte di un costo di circa 2 miliardi per il riordino, il risparmio ottenuto sarebbe di 32 milioni di euro per le indennità degli amministratori, e di 78 milioni di spese per far funzionare la macchina provinciale. Ma il grosso delle risorse, circa 10 miliardi, resterebbe a carico della collettività essendo destinato ai servizi essenziali. Di tutt’altro parere Graziano Delrio, padre della legge, che prevede risparmi per almeno un miliardo l’anno. Avrà ragione?