In questi giorni Roma Capitale è al centro della querelle che divide il Governo. Bisogna salvarla dalla sua montagna di debiti (12 miliardi), oppure occorre salvare insieme tutti gli altri Comuni in seria difficoltà? La questione è aperta e si attendono risposte chiare da parte dell’Esecutivo. Nel frattempo, è utile fare il punto sulla situazione complessiva a livello nazionale dei Comuni a rischio default. Secondo la Corte dei conti, i Comuni in crisi finanziaria sono parecchi. E la crisi viene da lontano. In circa trent’anni, infatti, nel periodo 1989-2017, il 10% degli 8000 Comuni italiani ha rischiato la bancarotta. In particolare, ben 592 amministrazioni locali hanno dichiarato il «dissesto finanziario», vale a dire sono state definite «incapaci di assolvere alle funzioni e ai servizi indispensabili» o non sono riusciti a far fronte ai creditori «con il ripristino dell’equilibrio di bilancio». Se ci limitiamo all’ultimo quinquennio (dal 2014 al 2017), poi, risultano 97 gli enti che abbiano approvato una delibera di dissesto. Un numero in crescita, come sottolinea un rapporto dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. In altre parole, oltre l’1% dei Comuni si trova in questa situazione, il 75% dei quali è concentrato in tre regioni, Campania, Sicilia e Calabria. A quest’ultima spetta il record dei dissesti, 41 enti sul totale di 409, mentre altri 54 hanno richiesto la procedura di riequilibrio finanziario. Meno casi, invece, al Nord, dove tuttavia desta particolare allarme il caso di Alessandria, con dissesto dichiarato il 12 luglio 2012 per un debito di 46 milioni. Non mancano comunque all’appello della crisi altre città di medie e grandi dimensioni come Caserta, Messina, Vibo Valentia, la provincia di Siracusa e la Città metropolitana di Napoli. Da segnalare, al contrario, le regioni virtuose prive di Comuni in dissesto: Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto e Sardegna.