“In bilico: povertà, periferie e comunità che resistono in Toscana” è il titolo del Report presentato ieri presso la sede della Regione. Un lavoro redatto dalle Caritas diocesane del territorio, che rappresenta un approfondimento sulla conoscenza dei disagi e dei bisogni delle persone con maggiore fragilità sociale ed economica. Uno studio elaborato sulla rilevazione e sull’analisi dei dati dei centri d’ascolto. Il 2015, periodo a cui la pubblicazione si riferisce, è stato un anno faticoso innanzitutto per il perdurare della crisi economica, tutt’ora causa di forte preoccupazione per tante famiglie; prova ne è l’altissima percentuale di persone incontrate che hanno dichiarato lo stato di disoccupazione e, se è cresciuta l’emergenza dei profughi e degli immigrati, va evidenziata la costante riduzione della forbice tra cittadini stranieri e italiani che bussano alle porte delle Caritas toscane.
“I centri d’ascolto delle Caritas regionale seguono da almeno sei anni, tante persone, più di 5.000, che non riescono a ripartire e a riprogettare la loro vita anche in presenza (a volte) di un reddito che, tuttavia, non è sufficiente a rispondere a tutti i bisogni della famiglia. Va comunque detto che anche nel 2015 la soglia di povertà relativa in Toscana si ferma al 5%, meno della metà rispetto a quella media nazionale che è del 10,4%”. A dirlo l’assessore alle Politiche sociali, diritto alla salute e sport Stefania Saccardi.
“Dati che ci sono forniti da questo rapporto, un lavoro importante e prezioso – ha aggiunto Saccardi – che ci consente di comprendere meglio i bisogni delle persone più fragili, basato com’è sull’ascolto ravvicinato della marginalità e dell’esclusione sociale attraverso i centri Caritas, che sono vere e proprie antenne sul territorio. E che ci aiuta a integrare efficacemente le conoscenze raccolte dai servizi del sistema pubblico, obiettivo della collaborazione riconfermata della Regione con la Caritas. Siamo convinti che per dare risposte appropriate ai cittadini occorre far cooperare tutti i soggetti, facendo leva sulla responsabilità degli enti locali e del terzo settore. Come stiamo facendo in questo ambito con l’organizzazione di seminari di confronto ravvicinato tra operatori dei servizi territoriali pubblici e operatori dei centri d’ascolto Caritas per condividere analisi, approcci e metodologie e con il sostegno alle azioni di sensibilizzazione dei giovani, per renderli consapevoli e aperti alla cultura della solidarietà”.
Per Roberto Filippini, delegato Cet per la Caritas, “ciò che emerge dal dossier è che il 2015 è stato un anno faticoso, soprattutto per il riverbero che continua della crisi economica. Prova ne è l’elevata percentuale di persone incontrate, ancora in stato di disoccupazione e, se è cresciuta l’emergenza dei profughi e degli immigrati, va evidenziata la costante riduzione della forbice fra cittadini stranieri e italiani che bussano alle porte delle Caritas toscane”.
La crescita della povertà cronica è una delle cause che spiega la leggera diminuzione di persone in situazione di disagio incontrate dalle Caritas toscane nel 2015: 22.041 quelle incontrate nel 2015, il 15,4% in meno rispetto all’anno precedente, una contrazione dovuta anche alla crescente complessità dei casi incontrati se è vero che, nel 2015, ciascuno di essi è stato ascoltato mediamente quasi sei volte (5,7) contro le quasi cinque (4,8) dell’anno precedente e le 4,3 del 2013.
A queste motivazioni si deve aggiungere, secondo il Rapporto, l’impegno delle Caritas e delle strutture ecclesiali nell’accoglienza dei profughi: 2.415 migranti alla fine di ottobre, corrispondenti a circa un quinto (21%) di tutti coloro che sono stati accolti in Toscana. Un impegno significativo all’accoglienza regionale, ma poco rilevabile dalla rete dei centri d’ascolto perché la maggior parte dei richiedenti asilo è inviata dalle Prefetture direttamente alle apposite strutture. Il disagio economico talvolta si fa sentire anche per coloro che hanno lavoro e casa. E’ vero infatti che il 75,1% di chi ha chiesto aiuto alle Caritas è senza occupazione, ma è altrettanto vero che quasi un quinto di essi (18,1%) un reddito, da lavoro o pensione che sia, lo percepisce, però questo non basta per arrivare dignitosamente alla fine del mese.