L’operazione militare di Via Fani, compiuta con quella “geometrica potenza” che affascinò l’ala radicale del movimento extraparlamentare di sinistra, ideologicamente contigua alle Brigate Rosse, portò il 16 marzo del 1978 alla eliminazione fisica dei cinque agenti della scorta e al sequestro di Aldo Moro, Presidente della Democrazia cristiana. Le immagini di quella mattinata di sangue, trasmesse infinite volte dalle televisioni di mezzo mondo, hanno prodotto nella memoria collettiva degli italiani la sensazione di una irrisolta tragedia nazionale.
Alcuni aspetti importanti della vicenda, conclusasi dopo 55 giorni con la uccisione dello statista pugliese, ora sono stati finalmente aggrediti, grazie al lavoro della quarta commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Giuseppe Fioroni, con la volontà di farne oggetto di una verifica più intensa e rigorosa. Si sta profilando una verità diversa dal passato, se è certo, come pare, che a Via Fani non ci fosse soltanto il drappello armato delle Br e non mancasse, in quella circostanza specifica e nel corso di tutto il periodo della prigionia di Moro, la presenza più o meno mascherata di esponenti della criminalità organizzata (camorra e banda della Magliana), nonché di agenti esterni, forse legati alla Raf tedesca.
Ci sono state gravi complicità e coperture, che lasciano intravedere un intreccio, anche di tipo internazionale, tra terrorismo brigatista e trame di servizi militari e d’intelligence stranieri, in coincidenza di forti preoccupazioni geopolitiche per gli sviluppi della “terza fase” morotea volta a legittimare, un decennio prima della caduta del Muro di Berlino, l’inclusione del Partito comunista nell’area della maggioranza di governo. A riguardo, non tutta la nebbia si è dissolta; anzi, man mano che emergono nuove informazioni, sul ruolo ad esempio delle diverse organizzazioni presenti nello scenario sempre inquieto del mediterraneo e del medio-oriente, cresce la consapevolezza del profilo assolutamente straordinario della “operazione Moro”. L’Italia, nella circostanza, ha conosciuto un vero e proprio colpo di Stato, al quale solo la compattezza delle forze politiche democratiche ha potuto opporre un argine. Se non ci fosse stata quella compattezza, i danni sarebbero stati davvero irreparabili, finendo per mettere a repentaglio la tenuta dell’intero ordinamento civile e politico. Non ce ne rendiamo bene conto, ma poteva esplodere una guerra civile. Invece gli italiani non hanno avuto incertezze: tra la folle seduzione del terrorismo e la difesa delle istituzioni, hanno optato per quest’ultima.
Evidentemente le cause del barbaro omicidio del leader democristiano travalicano le stesse contese politiche dell’epoca e trovano le loro radici in ambiti più profondi e non bene identificati. Domina tuttora l’interrogativo sul disegno che abbraccia l’insieme della storia, quindi sulla “mente” capace di dirigerla fino al suo drammatico epilogo. Moro è un martire della nostra libertà, un simbolo ancora vivo nella coscienza popolare. Il suo sacrificio aiuta a capire come la libertà si conquista e poi si riconquista, in modo incessante, talvolta con dolore.