L’Italia è al top nella “shadow economy”, ossia la galassia delle attività celate alle autorità per evitare le procedure burocratiche, regolamentari e monetarie o per evadere il pagamento di tasse e contributi. In altre parole per ogni genere d’iniziativa di tipo corruttivo. Il primato negativo del Belpaese, che lo colloca fra i Paesi della zona euro con la ‘quota’ più alta di economia illegale, è confermato da un nuovo Working Paper, pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, che passa in rassegna il livello medio negli ultimi 25 anni della ‘shadow economy’ a livello internazionale.
Secondo il report, in Italia la percentuale media di sommerso tra il 1991-2015 è stata pari al 24,9% del Pil. Segue la Spagna, dove il sommerso ha raggiunto in media il 24,5% del prodotto interno lordo. Peggio di Roma e Madrid, tra le maggiori economie di Eurolandia, ha fatto solo la Grecia, Paese di cui è noto l’alto tasso di evasione dei suoi contribuenti, con il 27% di economia illegale rispetto al prodotto interno lordo nello stesso periodo. Il Portogallo si è fermato a una media del 21,8%; la Francia del 14%, mentre in Germania l’economia illegale media è stata pari all’11,9%.
Tra i virtuosi nel Vecchio Continente, troviamo il Lussemburgo, dove la shadow economy si è attestata in media al 10,6% del pil, stesso livello più o meno in Olanda con il 10,7%. Ma è l’Austria il Paese che ha segnato la quota media più bassa d’Europa per attività non dichiarate con l’8,9% tra il 1991-2015. Ha fatto ancora meglio – ma fuori dall’Unione europea – la Svizzera con il livello medio più basso del mondo, al 7,2%. In Gran Bretagna il sommerso ha raggiunto una media l’11% del Pil, mentre negli Usa siamo all’8,3% del Pil. Allargando lo sguardo agli altri continenti, in posizione fortemente negativa troviamo la Bolivia, con un livello medio di sommerso al 62,3% del pil nell’arco di 25 anni, seguita dall’instabile Zimbabwe, con il 60,6%. Fra le economie Brics, in Cina la quota media di economia non dichiarata è stata pari al 14,6% nel 1991-2015; in Brasile si è attestata al 37,6%; in Russia al 38,4%.