Anno Domini 1519: Hernan Cortés sbarca in Messico. Avventuriero spregiudicato è deciso con ogni mezzo a ricoprirsi di gloria – e naturalmente oro – in quelle terre inesplorate. Sbarca con 508 soldati, 100 marinai, cavalli e cani da combattimento, poca roba per conquistare un impero e infatti sulle prime non gli va proprio bene ma il trentaquattrenne futuro conquistador è fortunato. Egli non lo sa ma nella sua marcia faticosa verso l’interno del paese è preceduto da un virus sbarcato almeno un anno prima di lui nella zona dell’attuale Veracruz con le navi di Juan de Grijalva. Nel Caribe si sono già fatti conoscere influenza suina, morbillo, scarlattina e salmonella che hanno decimato le popolazioni locali con una mortalità che in certe zone ha raggiunto punte dell’80%. La capitale dell’impero Azteco Tenochtitlàn prima ancora di essere presa dal capitano spagnolo viene attaccata dal vaiolo che ne sfibra gli abitanti proprio poco prima dell’assedio del nemico, fornendo a quest’ultimo una mano insperata. In netta inferiorità numerica contro due grandi imperi – l’Azteco e l’Inca – privi certo di armi da fuoco ma capaci di schierare sul terreno centinaia di migliaia di guerrieri ben organizzati, i conquistadores, come i cavalieri dell’Apocalisse, verranno preceduti nel loro avanzare da pestilenze mai viste prima a queste latitudini, capaci di mettere in ginocchio territori interi e spianando così la strada agli spietati avventurieri iberici.
Anno Domini 1537: Papa Paolo III Farnese pubblica la Bolla Veritas Ipsa con la quale chiude decenni di dibattito sulla natura degli amerindi. Questi indios – afferma il pontefice – sono esseri umani a tutti gli effetti e non possono essere privati della loro libertà e dei loro beni. L’enciclica condanna persecuzione e riduzione in schiavitù dei popoli mesoamericani, pratiche vergognose già denunciate da numerosi missionari sul posto e che, nei pochi decenni trascorsi dalla scoperta dell’America, stanno assumendo i preoccupanti contorni di un vero e proprio genocidio. Negli stessi anni, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, i navigatori portoghesi continuano le loro esplorazioni lungo le migliaia di chilometri di coste dell’Africa occidentale per agevolare i viaggi delle loro navi verso l’oriente. Mappano baie, golfi, isolotti, scogli affioranti, scivolano coi loro scafi lungo interminabili orizzonti di mangrovie o deserti le cui dune digradano sino all’oceano. E’ il Golfo di Guinea l’area maggiormente propizia a stabilire degli avamposti utili per rifornire o riparare imbarcazioni che, affrontando il viaggio più lungo e pericoloso dell’epoca, si trovano qui a metà strada fra Lisbona e il Sudafrica.
E’ da queste parti che i portoghesi individuano una vasta area paludosa con al centro una grande laguna protetta e vi insediano un porto che battezzano semplicemente Lagos, probabilmente per la presenza di quel gigantesco bacino salmastro comunicante col mare. Esplorazione dopo esplorazione gli europei entrano in contatto con i regni locali, grandi cartelli di varie etnie tribali quasi sempre in lotta fra loro e che praticano la riduzione in schiavitù per i nemici catturati in battaglia. I lusitani non si fanno sfuggire l’occasione: negli stessi decenni stanno colonizzando il Brasile e si trovano in grosse difficoltà con la manodopera locale. Malattie e violenze indiscriminate hanno decimato gli indios e ora pure il Papa si mette di traverso. Lagos nasce come scalo per rifornimenti e riparazioni dei natanti portoghesi e nel corso del ‘600 si ingrossa grazie all’immigrazione di pescatori locali ma trova in pochi decenni la sua ragion d’essere nel commercio di esseri umani. E’ qui che i negrieri africani incontrano i mercanti portoghesi per cedergli la loro preziosa merce in cambio di fucili e altre attrezzature prodotte in Europa. Uomini, donne e persino bambini catturati molti chilometri più all’interno, in mezzo a foreste dove l’uomo bianco a quel tempo non osava addentrarvisi, vengono portati in catene sino ai porti di quella che divenne la Costa degli Schiavi per essere imbarcati e trasportati dall’altra parte dell’oceano.
Il nucleo della cittadina rimarrà sempre Lagos Island, tra la laguna e il mare, villaggio che i locali chiamavano e continuano a chiamare Eko, accampamento militare in lingua Yoruba. Nel 1807 gli inglesi mettono fuorilegge la schiavitù e la marina di Sua Maestà riceve l’incarico di fermare qualunque nave negriera si trovi a incrociare tra Atlantico e Oceano Indiano. Lo squadrone della Royal Navy deputato al pattugliamento delle coste ovest dell’Africa (West African Squadron) dal 1808 al 1860 fermerà circa 1600 navi liberando non meno di 150.000 schiavi. In questo scenario la posizione strategica di Lagos (nascosta all’interno di una laguna) si rivelerà perfetta per permettere ai negrieri di sfuggire ai pattugliamenti della marina britannica. Nonostante anche il Portogallo avesse rinunciato al commercio più abietto della Storia sin dal 1810 non si poté di punto in bianco rinunciare a questo pezzo di economia quasi vitale per moltissimi attori, compresi i potenti capiclan e regnanti di colore se si pensa che il giro d’affari della Guinea riguardo alla vendita degli schiavi attorno al 1850 era pari a 1/4 dell’intero PIL inglese.
Nel 1861 Lagos passa in mano britannica e lo schiavismo viene definitivamente stroncato. La presenza dei nuovi colonizzatori riorienterà l’economia cittadina e dell’entroterra verso il commercio dell’avorio, del legname e dei minerali accrescendo l’importanza del porto – fra i pochi dell’Africa Occidentale – e migliorandone le infrastrutture. Più o meno negli stessi anni anche il Brasile mette al bando la schiavitù e non pochi ex prigionieri compiono il viaggio di ritorno con qualche soldo in tasca e un bagaglio di conoscenza che mette insieme cultura portoghese, mesoamericana e africana. Alcuni di questi “creoli” si stabiliscono a Lagos contribuendo allo sviluppo di un embrione di cultura imprenditoriale anche fra la comunità afro. Il centro di Lagos Island si riempie di residenze in stile coloniale portoghese, molto vicino a quello delle città della costa Brasiliana. Purtroppo al giorno d’oggi a causa dell’incuria, delle guerre civili e degli abbattimenti indiscriminati di queste architetture non rimane quasi nulla. Al volgere del secolo gli abitanti superano le 40.000 unità e nel 1901 gli inglesi inaugurano la prima linea ferroviaria del Paese da qui sino a Ibadan, 150 km più a nord, seguita da ulteriori 100 km nel 1905. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la Nigeria entra a pieno titolo nell’Impero Britannico e Lagos è nominata capitale della neonata colonia con quasi 90.000 abitanti.
Il nucleo primigenio della città continua ad essere Lagos Island e i circa diecimila europei presenti fanno dell’attiguo isolotto di Ikoyl il loro quartiere d’elezione, in stile città giardino, ben distinto dal caotico, saturo e malsano centro storico della capitale. La fondazione di Ikoyl – oggi saldata a Lagos Island e Victoria Island con cui costituisce il cuore propulsivo della metropoli – dotata già allora dei più moderni servizi infrastrutturali, sancisce quella separazione che tuttora persiste tra città dei ricchi collocata sulle isole e città dei poveri sulla terraferma, per la maggior parte una sterminata distesa di case affastellate e palazzi fatiscenti che spesso trascende in veri e propri slum. Per gran parte del ‘900 la crescita è sì costante ma sotto controllo e lo sviluppo urbanistico – per gli standard di una colonia – rimane entro argini più che accettabili. Nel 1960, con l’indipendenza della Nigeria, Lagos diventa capitale vera, stavolta di uno Stato sovrano.
Da quel momento incomincia un incredibile ascesa demografica con pochi eguali in tutto il pianeta che si riverbera in maniera funesta certo sull’urbanistica della città storica con demolizioni senza criterio per far spazio ai nuovi palazzi governativi ma anche e soprattutto dell’intera area alle sue spalle, sulla quale in cinquant’anni si riversano milioni e milioni di diseredati dal resto del Paese, aventi null’altro in mano che la propria prole da sfamare. Al momento della raggiunta indipendenza Lagos conta circa 600.000 abitanti che diventano 1,5 milioni nel 1975, 5 milioni nel 1990, 8 milioni nel 2000 e 22 milioni oggi considerando l’intera area metropolitana. Come si può facilmente comprendere, un’impennata demografica che avrebbe messo in crisi qualunque struttura urbana di qualunque Paese del mondo, figurarsi di uno che stava compiendo allora i primi timidi passi della propria indipendenza. Non è retorico affermare che oggi la megalopoli nigeriana rappresenti un condensato di ciò che è l’Africa di questo primo scorcio di XXI secolo. A sud, sul waterfront, si dipanano le aree più ricche della città – Victoria e Lagos Island – con le loro ambasciate, le sedi delle grandi società che gestiscono il Paese (lo ricordiamo, ricchissimo di petrolio), gli uffici governativi, gli hotel prestigiosi, le ville con giardino e piscina e da qualche anno si sta edificando un nuovo grandioso quartiere su un territorio interamente artificiale di 11 kmq letteralmente strappati all’oceano, Eko Atlantic City, sul modello di Palm Island a Dubai.
La spinta originaria è venuta dall’esigenza di salvare Lagos dalle inondazioni provenienti dal mare, sempre più frequenti a causa di una gestione scriteriata del territorio costiero, l’intento supplementare è quello di trasformare radicalmente l’immagine della metropoli, comunque una realtà dove non manca innovazione e terziario avanzato – a Lagos si producono la metà dei farmaci di tutta l’Africa ed è il centro propulsivo di quella incredibile realtà chiamata Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana, seconda al mondo solo a quella indiana. Eko Atlantic è in via di realizzazione – manco a dirlo, ad opera di imprese cinesi – e dovrebbe proiettare la megalopoli nell’olimpo del circuito immobiliare mondiale dei super ricchi con i suoi condomini di lusso, i servizi degni di una realtà urbana del III millennio e prestigiose e raffinate sedi per multinazionali. Dall’altra parte della laguna – tralasciando l’immensa area metropolitana sulla terraferma, quasi abbandonata a sé stessa – proprio di fronte alla benestante Lagos Island staziona invece il grande slum di Makoko, detta anche la Venezia nera trattandosi di una baraccopoli di oltre centomila abitanti costruita interamente su palafitte e occupata da famiglie che tentano di sbarcare il lunario col pescato della laguna o con lavoretti di fortuna che possono trovare sulla terraferma fra mercati, porto, vicoli o altro.
Dieci anni fa la stessa municipalità cercò di eradicare l’intera bidonville per il clamore negativo suscitato in tutto il mondo da alcuni reportages ma, a parte qualche famiglia forzatamente spostata e qualche palafitta abbattuta non è cambiato niente e Makoko continua a esistere e proliferare. Da qualche anno uno studio di architettura nigeriano-olandese ha costruito una scuola galleggiante che funge anche da centro di aggregazione per i bambini dello strano ma vivissimo quartiere. Stritolata da inquinamento, criminalità organizzata, corruzione, col 60% della sua popolazione in situazione di precarietà per quanto riguarda i servizi elementari – fognature, acqua potabile, elettricità – con la piaga dell’Aids che secondo le stime affliggerebbe il 6-7% dei suoi abitanti, violenti attriti fra etnie e comunità religiose, in fondo Lagos non riesce a stare dietro alla propria prorompente energia di città giovane, giovanissima, che attrae ogni giorno fra i propri confini dalle 3.000 alle 5.000 persone, che si sommano ai problemi già in essere e frustrano qualunque tentativo anche solo di affrontare seriamente le questioni socio-urbanistiche. Big-bang al contrario dell’universo africano, intreccio di contraddizioni, babele estrema, sensuale seduttrice, Lagos è oggi il grande tavolo da gioco su cui il mondo scommette il futuro di un intero continente.