Il Comune di Nettuno ha prodotto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della CTR Lazio che aveva accolto l’appello del contribuente contro la decisione negativa della CTP, avente ad oggetto un AVVISO DI ACCERTAMENTO TARSU riguardante un’area scoperta destinata a parcheggio ed al transito di autoveicoli, quindi, secondo la CTR non produttiva di rifiuti poiché non utilizzata per l’attività commerciale.
Nel ricorso il Comune ha censurato per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990 e dell’art. 71 del decr. legisl. n. 507/1993 la sentenza CTR impugnata, per avere questa ritenuto l’AVVISO non adeguatamente motivato, generando in tal modo confusione tra motivazione dell’atto impositivo e la prova della pretesa tributaria.
La Suprema Corte, Sez. V Civile, con l’Ordinanza n. 3801/2018, pubblicata il 16 febbraio 2018, ha giudicato inammissibile il ricorso del Comune per violazione del “canone di autosufficienza” nel senso che, nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza CTR sotto il profilo del vizio di motivazione dell’AVVISO DI ACCERTAMENTO, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erronei o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura solo tramite l’esame del ricorso, essendo il predetto Avviso non un atto processuale, bensì un atto amministrativo. La cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto poste a suo fondamento. Nel caso in questione, ad avviso della Corte, le censure mosse dal Comune non possono essere verificate in termini di fondatezza, in difetto degli elementi fattuali che si assume di avere fornito al giudice di merito.
Inoltre, la inammissibilità del suddetto motivo di ricorso rende pure inammissibili le restanti censure, in conformità con la costante giurisprudenza di legittimità secondo la quale, nel caso in cui la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre alla cassazione della decisione stessa.
Il ricorso è stato, quindi, rigettato.
LINK – CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. V CIVILE – ORDINANZA N. 3801/2018
Articolo realizzato in collaborazione con la redazione della rivista Finanza Territoriale www.finanzaterritoriale.it