Le imminenti elezioni amministrative registrano un acceso dibattito tra i candidati e le forze politiche, con scelte che incidono più in generale sull’assetto dei poteri locali. Ad esempio la scelta di Roberto Giachetti a Roma e del M5s a Bologna di presentare la giunta prima del responso delle urne è pienamente legittima sul piano politico e non incontra difficoltà in seno alla coalizione che ne sostiene l’impegno elettorale. Tuttavia apre una partita complessa e delicata, su cui occorre riflettere in termini più generali, quanto a coerenza con lo spirito e la lettera delle norme che disciplinano il corretto funzionamento degli enti locali.
Siamo in presenza, infatti, di una soluzione che altera i rapporti tra sindaco, giunta e consiglio. Se il sindaco è eletto a suffragio popolare diretto, nello stesso modo è eletto il consiglio: entrambi sono il frutto della volontà popolare. Il legislatore, con la riforma del 1993 (legge 25 marzo n. 81) che ha introdotto l’investitura diretta del primo cittadino, non si è spinto a innestare sulla pianta dei poteri locali il modello presidenziale. A legislazione vigente, pure dinanzi a un sindaco che detiene ampi poteri di gestione e funge da primo attore nell’attività amministrativa, è pur sempre il consiglio a esercitare la funzione essenziale di “indirizzo e controllo politico-programmatico” (art. 43, comma 2 del TUEL) sul sindaco e la sua giunta.
Ora, sebbene una giunta costituita in questo modo possa ancora apparire in accordo con la centralità dell’Assemblea, alla resa dei conti, proprio perché prescinde dal processo di selezione degli eletti, la sua genesi anomala autorizza a considerare la trasgressione procedurale alla stregua di un radicale cambio di sistema nel governo locale. Pertanto, alla libertà non contestabile del gesto politico si giustappone il dubbio sulla legittimità di una operazione che “strappa” il tessuto dell’ordinamento. In maniera surrettizia si passa infatti da un organico “modello monistico”, fondato sulla stretta correlazione tra sindaco e maggioranza, a un disorganico “modello duale” per il quale il sindaco, assumendo sul campo il ruolo di “console solitario”, fa a meno della sua maggioranza.
Tutto questo richiede una nuova articolazione normativa in grado di correggere gli squilibri che scaturiscono da una procedura di nomina “al buio” della giunta, decretando nella sostanza la subalternità dell’organo consiliare. Bisogna essere consapevoli che un atto politico di tale rilevanza introduce un presidenzialismo in miniatura, privo in ogni caso dei pesi e contrappesi necessari alla sussistenza di un sano presidenzialismo (benché di tipo municipale). In prospettiva andrebbe allora tolto il privilegio che il sindaco detiene in ordine allo scioglimento degli organi in forza delle sue dimissioni.
Se concepiamo un sindaco più libero, dobbiamo altresì concepire un consiglio più libero. Un nuovo equilibrio va trovato.