L’imminente referendum sulla riforma costituzionale sta polarizzando il dibattito politico-istituzionale nel Paese, con toni sempre più infuocati man mano che ci si avvicina alla fatidica data del 4 dicembre. La questione è rilevante, di conseguenza merita la massima attenzione perché la modifica della legge fondamentale dello Stato dispiegherà i suoi effetti sul lungo periodo, ben oltre gli attuali equilibri politici. E tuttavia altre questioni importanti rimangono nell’ombra, appena sfiorate dai media e addirittura misconosciute dal grande pubblico, appannaggio di ristrette elite di addetti ai lavori. Una per tutte: la crisi delle banche e le gravi conseguenze che potrebbero derivare per l’intera economia. A lanciare l’allarme è una fonte autorevole d’Oltreoceano, tal Steve Eisman, titolare di uno dei maggiori hedge fund americani, che ha rilasciato un’intervista al Guardian di particolare interesse: “E’ in corso un attacco alle banche italiane, da parte degli speculatori internazionali, tramite vendite allo scoperto”. Non si tratta di un’opinione isolata e dunque discutibile, bensì di un preoccupante dato di fatto. Ricordiamo che Eisman previde la crisi finanziaria del 2008 e realizzò un miliardo di dollari di plusvalenze vendendo allo scoperto i titoli delle banche USA che detenevano più titoli di finanza strutturata basati sui mutui subprime. Oggi ci sta riprovando con le banche europee, in particolare con quelle italiane. Secondo questo vero e proprio guru della finanza mondiale, le autorità di Bruxelles sono state troppo ‘accomodanti’ nei confronti delle banche europee. Quelle americane, invece, grazie all’intervento della Fed, non vendono più mutui sub-prime ai consumatori. La situazione, però, potrebbe cambiare con l’amministrazione Trump. “‘Credo che ci potrà essere un ammorbidimento delle durissime regole imposte dal presidente Obama nei confronti delle società finanziarie – dice – in particolare sulla vendita dei loro prodotti al pubblico”. A suo parere la speculazione al ribasso colpisce soprattutto le banche italiane gravate da 360 miliardi di euro di crediti in sofferenza, in gran parte concentrati nei primi cinque gruppi: Intesa-San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI. Giudizio condiviso anche dal professor Luigi Zingales: “ Il futuro dell’Italia dipende dal valore delle sofferenze bancarie. In realtà, il problema non si limita alle sole sofferenze, ma anche ai cosiddetti incagli, oggi ridenominati “inadempienze probabili” (IP). La Banca d’Italia definisce le sofferenze come crediti la cui riscossione non è certa perché i soggetti debitori sono in stato d’insolvenza o in situazioni equiparabili. Le IP rappresentano esposizioni nei confronti di soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea. Anche in un mondo ideale, separare le sofferenze dalle IP è difficile. …… Una sofferenza richiede un accantonamento intorno al 60%, un’IP al 30%. La differenza è enorme. Prima dell’operazione con Atlante, Monte Paschi di Siena (MPS) aveva €27,7 miliardi di sofferenze lorde (in bilancio al 37% del valore nominale) e €16,9 miliardi di IP lorde (in bilancio al 71%). Per ogni miliardo di sofferenze che MPS riesce a classificare come IP evita accantonamenti (e quindi perdite) per €341 milioni. Quando la tentazione di piegare le regole è così forte, possiamo fidarci di questa classificazione? Questa fiducia è fondamentale per valutare un piano di intervento per il sistema bancario italiano, perché oltre ai €200 miliardi di sofferenze ci sono €160 miliardi di IP. Se queste IP valgono il 40% invece dell’70% cui sono state inscritte a bilancio, il sistema bancario ha bisogno di €48 miliardi di capitale per ripianare le perdite su IP, .. oltre …. alle decine di miliardi necessari per colmare le perdite sulle sofferenze. Come possiamo sapere se le IP sono sofferenze nascoste o sono veramente casi di temporanea illiquidità? ……. Ricordiamoci che negli altri Paesi esiste un termine, “non performing loans”, ossia crediti deteriorati, che include sia le sofferenze, sia quelli che una volta chiamavamo incagli e che oggi si chiamano inadempienze probabili o unlikely to pay.” Eisman sostiene, infatti, che quasi tutte le banche italiane contabilizzino queste partite non secondo gli standard internazionali, (intorno al 20% del valore nominale) ma, come concede loro la collusiva normativa vigente, al 40-50%. E proprio questo è il varco entro cui si insinua in maniera devastante la speculazione internazionale. Altro che complotti!