A dieci anni dal 17 febbraio 2008, data dell’autoproclamata indipendenza del Kosovo, la Caritas italiana ha pubblicato un Dossier sul tema del disarmo dal titolo “Futuro minato”. Durante le Guerre balcaniche degli anni Novanta bombe a grappolo e mine furono impiegate soprattutto in Bosnia Erzegovina e in Kosovo. Gran parte di queste non sono ancora state rimosse, mettendo tutt’oggi a rischio l’utilizzo di intere aree del Paese e di molte vite. Il Dossier della Caritas “Futuro minato” aggiorna con nuovi dati gli effetti di lungo periodo degli armamenti e della psicosi post bellica.
Nello studio la Caritas ha cercato di analizzare l’eredità che il conflitto ha lasciato sulle nuove generazioni, per conoscere il giudizio e l’interpretazione che i giovani danno riguardo alle vicende che hanno sconvolto il loro Paese. Vent’anni dopo la fine del conflitto, la Bosnia Erzegovina è il Paese più minato in Europa e massicciamente deturpato da residui di guerra rimasti inesplosi. Alla fine del 2016 si registravano 1.091 chilometri quadrati contaminati da mine antiuomo.
Le bombe a grappolo insidiano a oggi un’area di 1,12 chilometri quadrati, ma altri 7,3 chilometri quadrati risultano sospetti. Il Mine Action Centre in BiH (Centro nazionale per lo sminamento in Bosnia Erzegovina) è responsabile dei piani, dell’accreditamento e del coordinamento delle compagnie sminatrici. Il programma d’investimento annuale di 29,5 milioni di euro non garantisce una bonifica totale a breve periodo: gli obiettivi fissati nel 1996 sono stati presto abbandonati e nel 2016 sono stati sminati soltanto 1,34 chilometri quadrati e distrutte 1.313 mine antiuomo, 63 mine anticarro e 1.192 tra varie tipologie di ordigni bellici inesplosi. Questo risultato è stato però ben al di sotto dell’obiettivo della “strategia di azione” contro le mine 2009-2019 che prevede 9,27 chilometri quadrati di bonifica all’anno. Da ottobre 2017 la Bosnia Erzegovina sta lavorando ad una nuova strategia nazionale di azione contro le mine per il 2018-2025.