Nel 2019 sono stati celebrati in Italia 184.088 matrimoni, 11.690 in meno rispetto all’anno precedente (-6,0%). Il calo riguarda soprattutto i primi matrimoni. Scendono anche le seconde nozze o successive (-2,5%) ma aumenta la loro incidenza sul totale: ogni 5 celebrazioni almeno uno sposo è alle seconde nozze. I divorzi diminuiscono leggermente (85.349, -13,9% rispetto al 2016, anno di massimo relativo) dopo il boom dovuto agli effetti delle norme introdotte nel 2014 e nel 2015 che hanno semplificato e velocizzato le procedure. Pressoché stabili le separazioni (97.474).
Ancora in crisi i primi matrimoni
In oltre quarant’anni di calo della nuzialità, si sono verificate solo brevi oscillazioni legate soprattutto a periodi di anticipazione o posticipazione delle nozze. Per citare alcuni esempi, un caso di aumento congiunturale dei matrimoni è stato osservato nel 2000, per l’attrattività che tale anno ha esercitato su chi ha voluto celebrare le proprie nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009- 2011 si è osservata una diminuzione particolarmente accentuata dovuta al crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo e dagli effetti della crisi del 2008 che li ha colpiti particolarmente. Al netto delle fluttuazioni congiunturali, la diminuzione dei matrimoni è dovuta prevalentemente al calo delle prime nozze. Assumendo come riferimento il 2008 (anno che precede le varie modifiche legislative appena illustrate e che segna l’inizio della recessione economica), i matrimoni tra celibi e nubili sono passati da 212 mila a poco più di 146 mila. Nel 2019 si registra un nuovo minimo relativo delle prime nozze rispetto a quello osservato nel 2017 (152.500). Nella maggior parte dei casi i primi matrimoni riguardano sposi entrambi italiani (84,5%), in forte flessione rispetto al 2008: da 185.749 a 123.509 nel 2019 (-33,5%).
Sempre più tardi le prime nozze
Il calo dei primi matrimoni è da mettere in relazione in parte con la progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio) che sono più che quadruplicate dal 1998-1999 al 2018-2019, passando da circa 340 mila a 1 milione 370 mila. L’incremento dipende prevalentemente dalla crescita delle libere unioni di celibi e nubili (da 150 mila a 834 mila circa). ii Le libere unioni sono sempre più diffuse anche nel caso di famiglie con figli; l’incidenza di bambini nati fuori del matrimonio è in continuo aumento: nel 2019 un nato su tre ha genitori non coniugati. iii Sono in continuo aumento anche le convivenze prematrimoniali, le quali possono avere un effetto sul rinvio delle nozze a età più mature (posticipazione del primo matrimonio). Ma è soprattutto la protratta permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle prime nozze.
Meno matrimoni tra i più giovani
La prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine è, come è noto, dovuta a molteplici fattori: aumento diffuso della scolarizzazione e allungamento dei tempi formativi; difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e condizione di precarietà del lavoro stesso; difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni. L’effetto di questi fattori si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole, spingendo i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia. Il calcolo dell’indice (o tasso) di primo-nuzialità totale consente, tenendo conto della composizione per età della popolazione, di misurare la propensione al matrimonio che si avrebbe se l’intensità della primonuzialità rilevata nelle diverse fasce di età nel corso nell’anno di osservazione, dovesse caratterizzare l’intero ciclo di vita di una generazione (operando distintamente per maschi e femmine). L’indicatore può essere calcolato considerando tutte le età da 16 anni compiuti in poi, oppure può essere riferito a un intervallo di età specifico. A tale proposito il calcolo dell’indicatore tra 16 e 49 anni, usualmente diffuso dall’Istat, consente il monitoraggio dell’evoluzione dei processi di formazione delle nuove famiglie con riferimento alle stesse fasce di età in cui si misura l’intensità della fecondità. Tale indice segnala, in base a quanto registrato nel 2019, un’intensità di 410 primi matrimoni per 1.000 uomini e 455 per 1.000 donne; valori che sono ancora più bassi rispetto ai minimi già registrati nel 2017 per gli uomini (419 per mille) e nel 2014 per le donne (465 per mille). La propensione a sposarsi per la prima volta subisce un vero e proprio crollo, rispetto al 2014, tra i giovani fino a 34 anni (rispettivamente -9,5% per gli uomini e -7,8% per le donne). Aumenta invece tra i 35 e i 49 anni (+ 12,2% e +23,1%), proprio per effetto della posticipazione dell’evento verso età sempre più mature . D’altra parte sono proprio i giovani sino a 34 anni a non aver ancora recuperato l’occupazione persa negli anni precedenti. Il rinvio delle prime nozze è dunque sempre più accentuato: attualmente per i primi matrimoni entro i 49 anni di età gli uomini hanno in media 33,9 anni e le donne 31,7 (rispettivamente 1,8 e 2,3 anni in più rispetto al 2008).
Quasi due matrimoni su 10 con almeno uno sposo straniero
Nel 2019 sono state celebrate 34.185 nozze con almeno uno sposo straniero, valore sempre in aumento negli ultimi 5 anni. Questa tipologia di matrimoni riguarda quasi due matrimoni su 10 (il 18,6% del totale dei matrimoni). I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a oltre 24 mila nel 2019 e rappresentano la parte più consistente (70,7%) dei matrimoni con almeno uno sposo straniero. Nelle coppie miste la tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera (17.924, pari al 9,7% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2019). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 6.243, il 3,4% del totale delle spose. Le cittadinanze coinvolte sono molto diverse a seconda della tipologia di coppia considerata. Gli uomini italiani che nel 2019 hanno sposato una cittadina straniera hanno nel 17,0% dei casi una moglie rumena, nel 14,0% un’ucraina, nel 6,5% una brasiliana e nel 6,3% una russa. Le donne italiane che hanno contratto matrimonio con un cittadino straniero, invece, hanno più spesso sposi con cittadinanza marocchina (15,2%) o albanese (9,7%). Il nostro Paese esercita un’attrazione per numerosi cittadini provenienti soprattutto da paesi a sviluppo avanzato che scelgono l’Italia come luogo di celebrazione delle nozze. I casi in cui entrambi gli sposi sono stranieri sono 10.018 (il 5,4% dei matrimoni totali). Se si considerano solo quelli in cui almeno uno degli sposi è residente in Italia il totale è pari a 5.924 nozze. Considerando i matrimoni di sposi entrambi stranieri in cui almeno uno è residente in Italia, quelli più diffusi sono tra rumeni (1.462 nel 2019, pari al 24,7% dei matrimoni tra sposi stranieri residenti), seguono quelli tra nigeriani (799 pari al 13,5%) e ucraini (487 pari a 8,2%). Le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità oltre che nella connotazione maschile o femminile che le collettività presentano. In molti casi i cittadini immigrati si sposano nel paese di origine e i coniugi affrontano insieme l’esperienza migratoria, oppure si ricongiungono nel nostro Paese quando uno dei due si è stabilizzato. Mettendo a confronto alcune tra le principali cittadinanze residenti in Italia colpisce, infatti, come cambi la distribuzione per tipologia di coppia . Nel caso delle cittadinanze ucraina, russa, polacca e brasiliana si tratta in larghissima parte di matrimoni tra donne straniere e uomini italiani. Situazione opposta si riscontra nel caso, ad esempio, della cittadinanza marocchina dove a primeggiare sono nettamente i matrimoni tra sposi stranieri e spose italiane. La quota di matrimoni con sposi entrambi stranieri contraddistingue i cittadini nigeriani e, in misura minore, peruviani e cinesi. Infine, i matrimoni che coinvolgono i cittadini albanesi mostrano una maggiore equidistribuzione tra le varie tipologie.
Con rito civile più della metà delle nozze
Un altro tratto distintivo dell’evoluzione della nuzialità è la crescita sostenuta delle nozze celebrate con il rito civile, passate dal 2,3% del 1970, al 36,7% del 2008 fino al 52,6% del 2019 (96.789 matrimoni celebrati con rito civile). I matrimoni con rito civile sono 2 su 3 al Nord e circa 1 su 3 al Sud. Sono celebrate prevalentemente con rito civile le seconde nozze e successive (94,8%) e i matrimoni con almeno uno sposo straniero (90,3%), entrambe in deciso aumento: le prime dal 13,8% sul totale dei matrimoni celebrati nel 2008 al 20,6% del 2019, le seconde dal 15,0% al 18,6%. L’aumento del rito civile, quindi, è in parte spiegabile con la corrispondente crescita di queste tipologie di matrimonio. Tuttavia, la scelta di celebrare il matrimonio con il rito civile si sta affermando rapidamente anche nei primi matrimoni (dal 27,9% del 2008 al 41,6% del 2019). Considerando i primi matrimoni di sposi entrambi italiani, che costituiscono l’84,5% del totale dei primi matrimoni, l’incidenza media di quelli celebrati con il rito civile è del 33,4% (20% nel 2008). Questa quota – che può essere letta come un indicatore di secolarizzazione – presenta una spiccata variabilità territoriale: si passa dal 21,2% nel Mezzogiorno al 43,5% del Nord e al 41,1% del Centro. Un altro aspetto è legato alla struttura per età degli sposi entrambi italiani: tra i giovani under30 che si sposano per la prima volta si osserva un comportamento più “tradizionale” rispetto a chi si sposa in età successive; la quota di primi matrimoni celebrati con rito civile è, infatti, al 26,5% per i più giovani e al 39,4% per chi si sposa per la prima volta in età più matura. Per i più giovani, inoltre, la variabilità territoriale è più contenuta, pur restando evidente il gradiente Nord-Mezzogiorno (30,2% contro 23,4%). Per chi si sposa dai 30 anni in su il differenziale territoriale è ancora più marcato: si va dal 50,8% di prime nozze celebrate con rito civile al Nord, al 46,3% del Centro, rispetto al 22,6% del Mezzogiorno. Anche la scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni è un fenomeno in rapida crescita: nel 2019 riguarda il 72,8% dei matrimoni (62,7% nel 2008, 40,9% nel 1995).
Unioni civili di coppie dello stesso sesso più diffuse nel Nord-ovest
Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.vi Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito un progressivo ridimensionamento. Nel 2019 sono state costituite 2.297 unioni civili (tra coppie dello stesso sesso) presso gli Uffici di Stato civile dei comuni italiani. Queste si vanno a sommare a quelle già costituite nel corso del secondo semestre 2016 (2.336), e degli anni 2017 (4.376)vii e 2018 (2.808). Come atteso, dopo il picco registrato subito dopo l’entrata in vigore della nuova legge, il fenomeno si sta progressivamente stabilizzando. Il 37,9% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (26,7%). Tra le regioni in testa si posiziona la Lombardia con il 24,5%, seguono Lazio (15,3%), Piemonte (9,6%), Emilia-Romagna (9,3%) e Toscana (8,8%). Considerando i tassi per 100mila residenti, il Lazio si colloca al primo posto (6,1 per 100mila), seguito da Lombardia (5,6), Toscana e Liguria (5,4). Emerge con particolare evidenza il ruolo attrattivo di alcune metropoli. Nel 2019 nel comune di Roma e in quello di Milano le unioni sono state complessivamente il 20,3% del totale (rispettivamente il 10,8% e il 9,5%). Particolarmente rilevante è il ruolo della provincia di Roma dove si è concentrato il 14,0% di tutte le unioni civili e di quella di Milano (con il 12,3% del totale delle unioni). Si conferma anche nel 2019 la prevalenza di coppie di uomini (1.428 unioni, il 62,2% del totale), anche se in progressivo ridimensionamento (73,6% nel 2016, 67,7% nel 2017 e 64,2% nel 2018). Tale quota è abbastanza simile in tutte le ripartizioni: dal 60,4% del Sud al 66,4% delle Isole. In Lombardia le unioni civili di uomini sono il 65,1%, nel Lazio il 62,8% .
Instabilità coniugale in via di riassestamento dopo il boom
L’andamento dei divorzi è stato in costante aumento dal 1970 (anno in cui il divorzio fu introdotto nell’ordinamento italiano) fino alla metà del decennio scorso. Dal 2015 il numero di divorzi ha subito una forte impennata (+57,5% in un solo anno) a seguito dell’entrata in vigore di due leggiviii che hanno apportato importanti modifiche alla disciplina dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si tratta del Decreto legge 132/2014 introdotto con l’obiettivo di semplificare e velocizzare le procedure consensuali senza rivolgersi ai Tribunali e della Legge 55/2015 (c.d. Divorzio breve) che ha fortemente ridotto l’intervallo tra separazione e divorzio (dodici mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali). In conseguenza di questi provvedimenti, oltre all’effetto diretto sull’aumento delle separazioni e soprattutto dei divorzi si è evidenziato un effetto indiretto sull’aumento delle seconde nozze, in particolare nel biennio 2015-2016. Nel 2019 i divorzi sono stati 85.349, il 3,5% in meno rispetto al 2018 e il 13,9% in meno nel confronto con il 2016, anno di massimo relativo (99.071 divorzi). Nel 2019, le separazioni sono state 97.474. Dopo l’aumento che si è verificato tra 2015 e 2016 (da 91.706 a 99.611, +8,6%), le separazioni si sono poi mantenute su quello stesso livello mostrando solo piccole oscillazioni. Rispetto al 2008 sono cresciute del 15,8%. Le separazioni legali rappresentano ancora oggi in Italia l’evento più esplicativo dell’instabilità coniugale, considerando che non tutte le separazioni legali si convertono successivamente in divorzi. Inoltre, il D.l.132/2014, avendo semplificato e ridotto i costi dell’iter di separazione/divorzio, ha avuto una ripercussione anche sulle separazioni. Tuttavia, essendo maggiormente coinvolti nelle separazioni figli minori rispetto ai divorzi, la procedura che si perfeziona direttamente presso gli Uffici di Stato Civile (ex art.12) – preclusa in caso di presenza di figli minori o anche maggiorenni non autosufficienti – ha riscosso minore successo. Nei divorzi, invece, le due importanti modifiche legislative introdotte a pochi mesi l’una dall’altra (novembre 2014 e maggio 2015) hanno determinato un vero boom rendendo però difficile cogliere a pieno gli effetti dell’una e dell’altra modifica. Nel 2019, l’85,0% delle separazioni si conclude consensualmente; percentuale stabile, con leggere oscillazioni, nell’ultimo decennio. La quota di divorzi consensuali appare, invece, più contenuta (70,1% nel 2019). Dopo il picco del 2016 (78,2%) la proporzione di divorzi consensuali decresce per tornare al livello di inizio decennio (72,4% nel 2010).