Migranti, popoli in fuga, tragedie in mare, impreparazione nazionale ad accogliere. Ci vuole lo storico coraggio di Intercultura per mettersi a discutere oggi di “integrazione tra religioni”. Eppure, mentre giornali e televisioni sono colmi della nostra paura a ricevere, Bari diventa per qualche giorno (dal 31 marzo al 2 aprile prossimi) il centro del pensiero e del dibattito sull’educazione al cosmopolitismo.
Ma emergono dati contrastanti dal sondaggio Ipsos commissionato dalla Fondazione Intercultura in occasione del convegno internazionale “Il Silenzio del Sacro” che si terrà a Bari dal 31 marzo al 2 aprile prossimi: sono i giovani under 30 e i meridionali i più aperti al confronto con le persone che praticano altre religioni.
Il tema attorno a cui ruota il sondaggio (condotto su un campione di 800 persone rappresentative dell’universo italiano) è una questione resa sempre più urgente dalle imponenti ondate migratorie che arrivano sulle nostre coste e che costringono gli italiani a venire a confronto con culture e religioni diverse. Siamo pronti all’integrazione e al dialogo? Quali sono i ruoli delle istituzioni e della scuola? Chi deve fare il primo passo verso una convivenza serena e aperta tra etnie diverse? Il risultato che ne emerge è che ancora molta strada va fatta, poiché il confronto è visto possibile solo se il primo passo verso la conoscenza viene fatto da chi arriva da un altro Paese: metà del campione infatti ritiene possibile l’integrazione con persone di altre culture religiose che vivono in Italia, solo se queste si mostrano rispettose della cultura e delle tradizioni cristiane.
Ancora più evidente dalle risposte, è una fotografia dell’Italia spaccata in due: da una parte i più giovani, sotto i 30 anni che vivono sulla propria pelle una convivenza con altre culture sin da piccoli, dai banchi di scuola e che quindi si dicono sia più aperti al dialogo, sia scettici rispetto alla capacità delle istituzioni di essere da catalizzatori di un processo volto al cosmopolitismo. Dall’altra, le persone più mature che, per loro ammissione, hanno avuto molte meno occasioni di incontrare chi ha una provenienza culturale e religiosa diversa dalla propria e che hanno – per forza di cose- una visione meno completa e approfondita dei processi di integrazione.
Gli italiani sono ancora un popolo di credenti, visto che due terzi si dichiarano tali, soprattutto nella fascia più matura della popolazione. Emerge però una scelta di appartenenza ad altre confessioni in maniera statisticamente rilevante da parte dei più giovani (sotto i 30 anni). Insomma, emerge che non siamo più un paese monoliticamente cattolico e ancor meno lo saremo con le prossime generazioni.