Per i diversi servizi il Fondo povertà stanzia circa 300 milioni di euro nel 2018 che saliranno a 470 milioni dal 2020 e per gli anni successivi. La Rete della protezione e dell’inclusione sociale, organismo presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e che riunisce gli assessori regionali e di alcuni Comuni individuati dall’Anci, responsabili territoriali delle politiche sociali, ha approvato la scorsa settimana il Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà. Prima dell’approvazione la Rete ha incontrato i rappresentanti delle parti sociali e degli organismi del terzo settore impegnati in attività di lotta alla povertà che hanno tutti manifestato apprezzamento per i contenuti del Piano e per le modalità del confronto che hanno portato alla sua definizione.
L’iniziativa rappresenta il primo strumento programmatico per l’utilizzo della quota del Fondo povertà destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi territoriali per i beneficiari del Reddito di inclusione (Rei) e rappresenta un passo essenziale per il funzionamento efficace della nuova misura di contrasto alla povertà. Per la prima volta dalla riforma del Titolo V della Costituzione, gli interventi e i servizi sociali acquisiscono la natura di livelli essenziali delle prestazioni.
“E’ un passaggio epocale – ha sottolineato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti – reso possibile da una disponibilità stabile di risorse che finalmente permette di rafforzare i servizi territoriali, anche attraverso l’assunzione di nuovi assistenti sociali che saranno impegnati nella realizzazione degli interventi, e di tendere alla loro armonizzazione, individuando specifici obiettivi da garantire uniformemente nel Paese”.
Il Fondo povertà, infatti, diversamente da quelli di natura sociale, è permanente e stanzia per i servizi circa 300 milioni di euro nel 2018 che saliranno a 470 milioni dal 2020 e per gli anni successivi. Con le risorse comunitarie per le politiche di sostegno alle persone più deboli e a quelle in povertà estrema, i territori potranno contare a regime su più di 700 milioni di euro l’anno. Una cifra tesa al rafforzamento e al ripensamento organizzativo dei servizi, in un contesto in cui la spesa territoriale di contrasto alla povertà è bassa (il 7% della spesa totale per i servizi sociali) ed estremamente eterogenea (dagli oltre 30 euro pro-capite nelle regioni in cui si spende di più ai meno di 2 euro di quelle in cui si spende meno).
Il decreto legislativo istitutivo del Rei fissa i livelli essenziali delle prestazioni in maniera da accompagnare le famiglie dal momento della richiesta delle informazioni all’auspicabile affrancamento dalla condizione di povertà. Le funzioni coperte sono quindi quelle dell’accesso ai servizi, della valutazione della condizione di bisogno, della progettazione personalizzata e dell’individuazione dei sostegni per il nucleo familiare e degli impegni assunti dai suoi membri.
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi, l’obiettivo centrale del Piano prevede l’attivazione di un numero considerevole di punti per l’accesso al Rei, in generale uno ogni 40.000 abitanti, tenendo conto da un lato delle città metropolitane e dall’altro dei comuni piccoli, che ovviamente hanno esigenze diverse. Si tratta di uffici identificati nel territorio, in cui i cittadini potranno ricevere informazioni, consulenza, orientamento e, se necessario, assistenza nella presentazione della domanda. A conclusione della valutazione multidimensionale, verrà definito il progetto personalizzato, che indicherà gli obiettivi generali e i risultati attesi da raggiungere attraverso specifici sostegni, assicurati dai servizi, e dagli impegni che il nucleo familiare farà propri. Impegni che condizioneranno l’erogazione del beneficio definendo le opportunità per affrancarsi dalla condizione di bisogno. Si tratterà di percorsi di partecipazione a tirocini per l’inclusione, assistenza domiciliare, sostegno socio-educativo, supporto genitoriale, mediazione culturale e pronto intervento sociale.
Il Piano nazionale dovrà ora essere approvato dalla Conferenza Unificata (Governo, Regioni, Comuni) per poi aprire la strada ai successivi programmi regionali, attraverso i quali ciascuna regione indicherà gli specifici rafforzamenti da prevedere nei propri territori. In particolare sarà compito dei Piani regionali disciplinare le forme di collaborazione e cooperazione tra i servizi che consentiranno di progettare in modo condiviso, di lavorare sulle diverse dimensioni del benessere dei beneficiari, di fare regia sul territorio, rafforzando il lavoro di rete. Due sono le condizioni poste dal Piano: che gli ambiti di programmazione dei comparti sociale, sanitario e delle politiche del lavoro siano resi omogenei a livello territoriale; che nella programmazione e realizzazione degli interventi si tenga conto delle attività del Terzo settore impegnato nel campo delle politiche sociali.