Allarme erosione del territorio nel Belpaese. I dati dell’emergenza sono contenuti nel Rapporto Ispra-Snpa sul “Consumo di Suolo in Italia 2018”, presentati stamani (17 luglio) alla Camera, dai quali si evince che il fenomeno è aumentato anche nel 2017. Di conseguenza, la superficie naturale si è ridotta di ulteriori 52 kmq l’anno scorso. La metafora usata per descrivere il processo è suggestiva ed efficace, in grado di rendere l’idea meglio delle aride cifre: ogni due ore viene costruita un’intera piazza Navona, ogni secondo vengono coperti con cemento o asfalto 2 metri quadrati di territorio. Tutto ciò è accaduto, sorprendentemente, nonostante l’imperversare della crisi economica che avrebbe dovuto ridurre il numero delle nuove costruzioni. Il guaio è che i nuovi cantieri e le infrastrutture che ne sono scaturite hanno aggredito soprattutto aree protette e/o a rischio idrogeologico, magari lungo le coste o a ridosso dei corsi d’acqua e degli specchi lacustri. Il rapporto stima, ad esempio, che il cemento ne ricopra circa 350mila ettari, pari all’8% dell’estensione totale, mentre a livello nazionale siamo al 7,65%. Il vulnus recato al territorio, stimato in oltre 2 miliardi di euro all’anno, purtroppo, non si ferma qui. Nelle regioni in ripresa economica, specialmente nel Nord-Est, i numeri del consumo di suolo stanno già salendo.
Entrando nel dettaglio, il rapporto Ispra-Snpa snocciola dati veramente inquietanti: nel biennio 2016-2017, è stato “mangiato” il 24,61% delle aree soggette a vincoli paesaggistici, mentre il “6% delle trasformazioni del 2017 si trova in aree a pericolosità da frana – dove si concentra il 12% del totale del suolo artificiale nazionale – e oltre il 15% in quelle a pericolosità idraulica media – scrive Filomena Fotia su MeteoWeb e aggiunge – Il consumo di suolo non tralascia neanche le aree protette: quasi 75 mila ettari sono ormai totalmente impermeabili, anche se la crescita in queste zone è ovviamente inferiore a quella nazionale (0,11% contro lo 0,23%)”. Alcuni esempi eclatanti: il Parco nazionale dei Monti Sibillini, con oltre 24 ettari di territorio consumato, seguito da quello del Gran Sasso e Monti della Laga, con altri 24 ettari di territorio impermeabilizzati, in gran parte dovuti a costruzioni e opere successive ai recenti fenomeni sismici del Centro Italia. I Parchi nazionali del Vesuvio, dell’Arcipelago di La Maddalena e del Circeo sono invece le aree tutelate con le maggiori percentuali di suolo divorato.
Pesanti le ricadute anche dal punto di vista agricolo. La superficie utilizzabile in Italia per le colture – come segnala la Coldiretti – si è ridotta negli ultimi 25 anni ad appena 12,8 milioni di ettari. La disponibilità di terra coltivata significa, ovviamente, produzione agricola di qualità, sicurezza alimentare e ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico, che altrimenti si acutizzano. Il risultato è che sono saliti a 7.145 i Comuni italiani, ovvero l’88,3% del totale, a rischio frane e/o alluvioni. Allora, che prospettive per il futuro? L’Ispra ipotizza tre scenari entro il 2050, data che dovrebbe segnare l’azzeramento del consumo di suolo:
– il primo, se verrà approvata la legge rimasta ferma in Senato nella scorsa legislatura, si ridurrà progressivamente la velocità di trasformazione con una perdita di terreno pari a poco più di 800 km2 nell’arco temporale indicato;
– il secondo, si avrà un ulteriore consumo di suolo superiore ai 1600 km2 , qualora si mantenesse la velocità registrata nell’ultimo anno.
– Il terzo, si supereranno gli 8mila kmq (superficie pari a quella dei 500 Comuni più grandi in Italia) nel caso in cui la ripresa economica spingesse nuovamente la velocità di consumo a valori medi o massimi registrati negli ultimi decenni. In altre parole, come se si edificassero 15 nuove città ogni anno fino al 2050.