Il luogo simbolo della devozione di Napoli verso i defunti, una devozione che a volte si mescola con la superstizione e che si fonde con la vita di tutti i giorni. È questo il cimitero delle Fontanelle (in napoletano ‘O campusanto d’ ‘e Funtanelle). L’antico camposanto della città partenopea, situato in via Fontanelle e chiamato in questo modo per la presenza in tempi remoti di fonti d’acqua.
Si trova ai piedi della collina dei Colli Aminei nel cuore del quartiere Sanità. Il Rione Sanità sorge in una valle a cui corrispondono le valli dei Vergini, della Sanità e delle Fontanelle, cinte dalle colline di Miradois, Capodimonte, dello Scudillo, della Stella e di Materdei. Nel corso dei secoli la zona ha subito numerose trasformazioni, sia per il passaggio delle Lave dei Vergini, che riversavano detriti dalle colline verso valle, sia per l’urbanizzazione che ha interessato la zona dal XVI secolo. L’Ossario delle Fontanelle fu chiuso dal Cardinale Ursi nel 1950 perché diventato un luogo di culto ‘feticistico’.
Il sito cimiteriale conserva da almeno quattro secoli i resti di chi non poteva permettersi una sepoltura e delle vittime delle epidemie che molto spesso hanno colpito Napoli.
Durante la Peste del 1656, secondo alcune fonti la cava accolse 250mila cadaveri su una popolazione di 400mila, mentre per alcuni le vittime furono addirittura 300mila. Per l’elevato numero di resti ormai presenti nell’ossario, già alla fine del Settecento ci fu una prima sistemazione delle ossa.
Infatti, i cittadini alla fine dell’800 e all’inizio del ‘900 trasformarono l’Ossario in un punto di riferimento per preghiere e richieste di grazia ai morti. Dal modo di vivere la fede a Napoli traspare un legame con la morte e con la santità “presente”, reale.
Esempi tangibili di questo rapporto quotidiano con l’ultraterreno sono rappresentati da quello che era il culto ormai abbandonato delle anime pezzentelle, rimasto ben vivo nella memoria della città.
Fino a non molti anni fa era diffusa, infatti, l’usanza di adottare uno dei teschi dell’ossario. Il fedele si prendeva cura dell’anima adottata, pulendone il teschio e rivolgendole preghiere per alleviarne le pene, in cambio di una grazia.
Il culto delle anime pezzentelle fu particolarmente vivo durante i due dopoguerra, e seguiva un rituale ben preciso: il cranio prescelto veniva pulito e lucidato, poggiato su fazzoletti ricamati e adornato con lumini e fiori, poi si metteva un rosario al collo del teschio.
Successivamente, il fazzoletto veniva sostituito da un cuscino ornato di ricami e merletti. A ciò seguiva l’apparizione in sogno dell’anima prescelta, la quale richiedeva preghiere e suffragi per alleviare le sue sofferenze in Purgatorio, mentre il fedele chiedeva in cambio una grazia o numeri da giocare al lotto.
Se la grazia non veniva accordata, o se il sabato non uscivano i numeri ricevuti in sogno, il fedele abbandonava il teschio e sceglieva un’altra capuzzella.
Se invece le grazie venivano concesse, il teschio veniva onorato con una sepoltura più degna: una scatola, una cassetta, una teca, a seconda delle possibilità dell’adottante.
I teschi non erano mai ricoperti con lapidi, perché dovevano essere lasciati liberi di comparire in sogno, l’unico mezzo di comunicazione tra i vivi e i morti.
Oggi l’Ossario si presenta al visitatore come un luogo ricco di fascino e mistero, le ossa sono riposte in modo preciso e metodico e i circa otto milioni di morti, secondo una credenza popolare che vuole questa stima sia stata fatta da un monaco prima della chiusura del cimitero, sono rappresentati dai teschi riposti ovunque ed illuminati da fasci di luce che penetrano dal soffitto, caratteristica che rende unica la cavità delle Fontanelle.