Un programma che prevede il rimpatrio di tutti gli esuli irregolari giunti in Turchia dopo il 20 marzo, con l’impegno di reinsediare negli Stati membri un numero di siriani equivalente a quello dei migranti giunti dalla Siria sulle coste europee illegalmente. Le associazioni per i diritti umani contestano l’accordo, definendolo non legale e temendo che porti al respingimento a priori delle domande di asilo. Intanto la situazione migranti resta a livello di emergenza e la cancelliera Merkel, in una telefonata con il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, ha discusso le modalità d’inizio di questo patto, dicendo che dovrà “essere implementato con successo”. Per avviarlo, Berlino ha accettato di farsi carico di 1.600 persone precisando altresì che, la Germania si aspetta che i diversi Stati facciano altrettanto per favorire un flusso di “scambi” con Ankara.
Sulla situazione sono tante le riflessioni da fare, è tuttavia facile comprendere come l’accordo con la Turchia sia di fatto una misura straordinaria, temporanea e non certo risolutiva.
Nei prossimi giorni la Commissione europea dovrebbe presentare un piano per il superamento del sistema di Dublino. Il regolamento in essere grava infatti eccessivamente sui Paesi europei di primo accesso per i migranti (soprattutto Italia e Grecia) richiedendo, in quasi tutti i casi, che siano gli stessi Paesi a “riceventi” a pronunciarsi sulle richieste di asilo. In momenti di afflusso straordinario questo crea ritardi di molti mesi nella valutazione delle richieste, generando un aggravio del problema riconducibile a diversi aspetti. Colui o colei che riceve lo status di rifugiato non può, ad esempio, circolare liberamente in Europa, ma è costretto a cercare lavoro nella nazione di primo arrivo. L’istituzione di un sistema europeo centralizzato per l’analisi delle richieste di asilo e la ripartizione dei rifugiati all’interno dei Paesi Shenghen potrebbe invece contribuire ad alleviare questo stato di cose. Ad oggi però il completo disaccordo politico tra gli Stati membri ha provocato un ritorno a misure unicamente nazionali per bloccare il flusso dei migranti, impedendo così una convergenza nella ricerca di risposte efficaci a lungo termine.