Non soltanto Arabia Saudita, Iraq, Nigeria, Venezuela, Iran, ecc., le terre del petrolio. Forse, non tutti sanno che anche il Belpaese potrebbe reclamare un posticino in questo fortunato novero di Paesi. Non a caso, secondo Nomisma, c’è tantissimo petrolio e gas in Italia non sfruttato: “Risorse tutt’altro che trascurabili – ammette Davide Tabarelli, presidente del centro studi- basti pensare che i giacimenti accertati nel nostro Paese hanno volumi simili a quelli del Mare del Nord e della Norvegia: 225 milioni di tonnellate di petrolio e 115 miliardi di metri cubi di gas. Le nostre importazioni sono 10 volte la produzione nazionale, assurdo non sfruttarle”. In attesa dello sfruttamento intensivo, una certa produzione di greggio ha comunque luogo in alcune regioni, principalmente Emilia Romagna e Basilicata. E ciò produce cospicui ricavi per le compagnie petrolifere e royalties per i Comuni che la ospitano. Risorse importanti che, in Emilia Romagna (26 Comuni coinvolti), finanziano il trasporto pubblico, mentre in Basilicata vanno a coprire buchi di bilancio nella sanità o a favore delle università. Un trend, fra l’altro, in ascesa. Nel 2019, è previsto un raddoppio delle Royalties che le società petrolifere verseranno per la produzione nazionale rispetto al 2017, e addirittura un incremento di tre volte nel 2020. Secondo le stime, si passerà dagli attuali 136 milioni di euro a 251 milioni, per arrivare a 405 milioni di euro trainati dall’aumento delle estrazioni e dal prezzo del greggio, fino a sfiorare nel triennio gli 800 milioni di euro. In effetti, il maggior contributo derivante quest’anno dal giacimento della Val d’Agri farà chiudere la produzione nazionale, secondo Nomisma Energia, a 5,5 milioni di tonnellate di greggio. Inoltre, entro fine anno dovrebbe partire anche Tempa Rossa, il sito estrattivo di Total nella Valle del Sauro, che potrebbe incrementare la produzione nazionale di altri 10 mila barili e arrivare a regime addirittura a 50 mila barili al giorno. Tutto questo potrebbe portare l’output italiano nell’arco di un triennio a 20,6 milioni di tonnellate di greggio aumentando i benefici delle royalties del 250%. Non tutto, però, è liscio come l’oil – si potrebbe dire – giacchè proprio la Basilicata, che fornisce l’80% della produzione nazionale, è finita sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei conti che ha rilevato fondi non vincolati e anche calcolati male dalla Regione. Da una parte, lo Stato si è preso il 3% di royalties destinate al Fondo sviluppo economico e social card: 47 milioni destinati ai territori estrattivi, perduti senza che le Regioni li reclamassero. Dall’altra, la Regione Basilicata ha incamerato nel suo bilancio anche la quota di royalties versata dalle società petrolifere allo Stato, senza destinarla ai territori estrattivi. E, cosa più grave, le royalties «non risultano essere state utilizzate dalla Regione secondo i fini stabiliti dalla legge», fa notare la Corte. L’aliquota sulle concessioni di coltivazione su terraferma del 7% va così ripartita: 30% allo Stato, 55% alla Regione e 15% ai Comuni. In particolare, secondo il decreto 625/1996, «a decorrere dall’1 gennaio 1999, alle Regioni a statuto ordinario del Mezzogiorno è corrisposta, per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziata nelle aree di estrazione e adiacenti, anche l’aliquota destinata allo Stato (30%)». Ma con un duplice vincolo nell’utilizzo di questa parte dell’aliquota «rinunciata» dallo Stato: uno, riferito alla finalità della devoluzione (finanziamento di strumenti della programmazione negoziata) e, l’altro, riferito all’area che dovrà beneficiarne (aree di estrazione e adiacenti)». Si è aperto, di conseguenza, un contenzioso suscettibile di attenuare parzialmente i notevoli vantaggi, sia per lo Stato che per la Regione in questione, derivanti dallo sfruttamento di un’ingente fortuna naturale custodita nel proprio sottosuolo. Allora, ci vogliono idee nuove per valorizzare al meglio questo prezioso patrimonio. Da prendere in considerazione, forse, la proposta avanzata dal Centro Studi sociali e del lavoro della Uil Basilicata, con il supporto del Censis, di creare un Fondo sovrano regionale da alimentare con le royalties del petrolio sul modello norvegese e dell’Alberta Heritage Savings Trust Fund. Secondo i proponenti, per ogni euro depositato nel Fondo si potrebbero generare circa 1,7 euro di redditi da investimenti per lo sviluppo.