Ma vuoi mettere la presenza di un essere umano a confronto con un robot? Eppure le più recenti ricerche in ambito clinico hanno inequivocabilmente dimostrato come i bambini con autismo, se fatti interagire con particolari robot antropomorfi, mostrino comportamenti sociali positivi.
A questo riguardo il know-how metodologico di moltissimi ricercatori ha documentato nel tempo che le nuove tecnologie possono contribuire in maniera significativa all’integrazione sociale e al miglioramento della qualità della vita delle persone con esigenze speciali.
L’interazione tra il bambino e i “pupazzi di latta” suscita, infatti, una cascata di segnali che supportano gli scambi sociali. Queste tecniche sono coadiuvate dai dati degli esami di neuroimaging e mirate sempre più a cogliere i meccanismi cerebrali alla base delle difficoltà. Per questo motivo dal “Laboratorio Intelligenza Distribuita e Robotica per l’Ambiente e la Persona” dell’Enea è appena uscito Nao, un pupazzo computerizzato dall’aspetto accattivante, utile a programmi psicoapplicativi e terapeutici nei percorsi assistenziali dei disturbi dello spettro autistico.
L’importanza di questa forma d’interazione, nota come robot-mediata, è stata dimostrata in diversi studi scientifici che hanno utilizzato particolari robot come perno sociale di supporto. L’entrata in gioco dell’androide, in questi casi, vede usare gesti personalizzati e suggerimenti vocali per fornire interazioni risultate, nella prassi, gratificanti.
I bambini affetti da disturbo dello spettro autistico, nella maggior parte dei casi, presentano un deficit di comunicazione sia esso verbale o non verbale. Nonostante ad oggi non esista una specifica cura, la diagnosi precoce entro il terzo anno di vita del bambino ed un programma educativo coerente alle necessità del soggetto, permettono di conseguire le abilità comunicative di base.
Tutti i più recenti studi hanno dimostrato che l’utilizzo delle Ict nel trattamento di persone affette da questa patologia, può portare molti benefici. I problemi sensoriali nei bambini autistici possono essere molto diversi tra loro, talvolta anche opposti a seconda dei casi. Ci sono infatti piccoli che dimostrano grande sensibilità al caldo, al freddo, dolorabilità, mentre vi sono altri soggetti che sembrano ignorare situazioni anche di grande rilievo.
Alcuni bambini risultano confusi in presenza di luci o oggetti fluorescenti altri, invece, colgono immediatamente minuterie focalizzando la propria attenzione su particolari piccolissimi ed altri ancora non sembrano in grado di notare nulla di specifico. E’ comunque molto frequente che i bambini autistici tocchino, annusino e cerchino di “assaggiare” oggetti sconosciuti. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che vogliano, in tale maniera, sopperire alla mancanza di informazioni attraverso altri canali, facendo quindi affidamento sui sensi primari per un’iniziale conoscenza. Altro che isolare, insomma: dalle app ai robot, passando per nuove applicazioni dei test psicologici, la tecnologia può di fatto aiutare i bambini con sindrome dello spettro autistico ad interagire maggiormente con il mondo esterno. Ad affermarlo è anche un articolo pubblicato alcuni mesi fa sulla prestigiosa rivista “Scientific American” firmato da Kevin Pelphrey, della George Washington University, che passa in rassegna le principali novità in questo campo. E tra queste i pupazzi meccanici, che usano gesti personalizzati e suggerimenti vocali per fornire interazioni gratificanti con i piccoli pazienti.
Nell’autismo il raggiungimento di obiettivi generali come l’indipendenza personale e la responsabilità sociale (dove possibile) richiede l’attivazione di interventi volti a sviluppare le diverse aree del comportamento adattativo: la comunicazione, le abilità quotidiane e la socializzazione. Questo implica attività di promozione delle funzioni sociali nel gioco, nella comunicazione (sia espressiva che ricettiva), nelle autonomie personali e domestiche, oltre che compiti di potenziamento cognitivo.
Le più recenti correnti di pensiero in ambito medico-scientifico ritengono che l’ausilio tecnico, insieme ad un ambiente accessibile e stimolante, siano interventi tecnici organizzativi volti al raggiungimento di un maggiore grado di autonomia. Quest’ultima è definita come la condizione contrassegnata dall’acquisizione di un nuovo equilibrio nelle relazioni tra sé e l’ambiente, per muoversi liberamente, svolgendo le attività quotidiane in conformità alle proprie necessità.
“Il processo che abbiamo introdotto nella sperimentazione del robot Nao – ha spiegato il ricercatore dell’Enea, Andrea Zanela – parte dall’incremento dell’attenzione condivisa per arrivare a sviluppare attraverso percorsi imitativi, l’interazione a tre, ovvero del bambino con il robot e con un altro compagno, che può essere un altro bambino, un genitore, un insegnante o un medico”.
La robotica educativa quindi scende in campo per l’autismo.