Durante il ventennio fascista la parola d’ordine era autarchia. Celebre il manifesto dove un balilla fa pipì sulle sanzioni strillando: «Me ne frego».
La stampa internazionale, soprattutto quella americana, ironizzò molto su Mussolini che voleva conquistare l’Impero e non aveva nemmeno il caffè.
Anche in Italia, l’autarchia venne subito percepita come un sistema che non permetteva al nostro paese di poter sviluppare una buona performance.
Tra i tanti aspetti che il nuovo sistema economico colpì, lo sport fu tra quelli che ne risentì molto. Tra questi, il basket.
Il filosofo italiano Benedetto Croce disse che il fascismo era l’espressione di “uno stato oscuro della mente, un mix di un desiderio di piacere, uno spirito di avventura e di conquista, una frenesia per il potere, una irrequietezza e al tempo stesso una disaffezione e un’indifferenza, di tutti coloro che hanno perso l’etica e la religione. “
Così, appena finita l’era fascista, l’Italia deve aver guardato a Van Zandt come al leader carismatico di cui il paese aveva bisogno, dopo la disattenzione di Mussolini.
Difficile immaginare una favola di libertà in un paese appena uscito da un periodo così buio.
Un laureato nero del Tuskegee Institute si trova a dover insegnare ad una nazione intera “i fondamentali” del basket.
Un capitano di fanteria, arrivato in Italia nel 1943 e chiamato nel 1947 dall’allora presidente della Federazione Italiana Pallacanestro Aldo Mairano, affinché portasse i giocatori italiani ad un livello di gioco più elevato.
Rivoluzionò il mondo del basket italiano rimanendo per diversi anni sulla panchina italiana. 33 vittorie su 45 partite con la Nazionale azzurra e, agli Europei del 1951, portò l’Italia al quinto posto, dopo aver fallito alle precedenti Olimpiadi.
Nel nostro paese insegnò anche i fondamentali del baseball ed ebbe una breve esperienza nel calcio a Milano, che quell’anno vinse lo scudetto.
Amava l’Italia, era la sua seconda patria. Viveva a Firenze, ed era innamorato del patrimonio artistico fiorentino. Chiamò sua figlia Fiorenza, in onore della città toscana che l’aveva adottato dopo la guerra.
Morì nell’ottobre 1959 all’età di 44 anni per una grave malattia. Il decesso avvenne sul volo che avrebbe dovuto riportarlo a Chicago per effettuare un trapianto di rene.
La commemorazione più eloquente della vita di Van Zandt è avvenuta un anno e mezzo più tardi.
La stampa patinata dell’epoca, pubblica una foto del presidente John F. Kennedy e il suo addetto stampa Pierre Salinger, vicino ad un poster con la scritta : “Per Eliot With Love”.
Qualche anno dopo la sua morte, la FIP istituì il «Premio Van Zandt», da assegnare all’allenatore italiano che si fosse distinto nell’opera di istruzione e di educazione tecnica e morale.