Le recenti polemiche sulla “damnatio memoriae” di Cristoforo Colombo negli Stati Uniti e in Italia con lo scambio al vetriolo tra Jacopo Fo e Aldo Grasso mi hanno spinto, dopo anni, a ripercorrere gli incredibili passi compiuti dal grande navigatore per giungere là dove mai nessun europeo era arrivato. Quanto alle diatribe sulle sue malefatte le trovo stucchevoli e figlie di una specie perniciosa di relativismo che sta spingendo l’occidente ad una morte lenta per continuo instillamento di un letale veleno, il senso di colpa. Credo che ben poche vie e piazze d’Italia si salverebbero dalla furia iconoclasta dei novelli Torquemada del politicamente corretto, altro che Cristoforo Colombo…
“Como una candelilla que se levava y se adelantaba”, “Come una candelina che si levava e si agitava”. E’ la tarda sera dell’11 ottobre del 1492 quando l’Ammiraglio verga sul diario di bordo della Santa Maria queste parole. E’ il primo, flebile segno che non c’è più solo acqua di fronte alle tre imbarcazioni spagnole capitanate dal genovese, dopo più di un mese di navigazione su mari mai solcati da essere umano. Mi piace accostare questa frase così delicata a quella più nota pronunciata da Neil Armstrong al momento dello sbarco sulla Luna…al di là della retorica che permea quella pronunciata dall’astronauta americano, le accomuna il fondo di genuina speranza di un uomo che davvero affrontava l’ignoto. E attraverso questo ignoto c’è passato con tre gusci in legno, panciuti ed essenziali, di 26, 23 e 21 metri di lunghezza. I traghetti tipo Moby sulla tratta Olbia – Livorno sono lunghi 170 metri…
Il grande navigatore ha 41 anni, un’ottima esperienza sulle acque conosciute al servizio di vari mercanti europei e una vera ossessione per quelle meno o completamente sconosciute che lo porterà fin dove sappiamo. Ma poi, è stata tutta ossessione o c’è dell’altro? Un passo alla volta.
La vicenda è arcinota, ce la raccontano sin da bambini e forse è proprio questa notorietà che ce la svuota di gran parte della sua forza dirompente. Non è stato il moto di un popolo o la ferrea volontà di una Nazione ad aver scoperto l’America. Sono state poche ed elette menti fini, con una punta di diamante da collocare nella figura affascinante, controversa e misteriosa del genovese Cristoforo Colombo.
C’erano tutti i presupposti è ovvio, la Storia sa dosare con scientifica sapienza i suoi ingredienti quando si appresta a servire un piatto da grande chef… La conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453 spariglia le carte sul grande tavolo da gioco delle potenze europee, bramose di ricchezze e per questo sempre pronte a menar le mani. Già, perché l’arrivo dei Selgiuchidi nella meravigliosa città sul Bosforo, immediatamente ribattezzata Istanbul, provoca da un lato maggiori difficoltà nel raggiungimento dell’oriente e delle sue preziosissime spezie, dall’altro scatena un afflusso mai visto in occidente di sapienti bizantini col loro carico di testi, riproduzioni, incunaboli, manoscritti, mappe, incisioni di ogni specie, lingua e genere dall’effetto rivoluzionario per l’ingessata e unidirezionata cultura sviluppatasi all’ombra della cristianità. Non a caso nei decenni immediatamente successivi esplode l’Umanesimo, che riverbera la sua influenza su ogni campo dello scibile umano.
Ma torniamo a Colombo, che la tradizione ci dipinge come un marinaio cocciuto che non si renderà mai davvero conto della sua scoperta, tutt’al più un Ulisse in carne ed ossa capace di vincere paure e superstizioni millenarie di un intero continente (e già questo non è comunque poco…). Non è andata proprio così. Cristoforo Colombo, nasce nel 1451 a Genova. A metà strada fra oriente ed occidente e fra nord e sud Europa, l’affascinante città ligure è crocevia di traffici e idee, merci a volte più preziose di quel che non appaia a prima vista. Forse tra i vicoli del porto si tramanda ancora la storia dei fratelli Ugolino e Viadino Vivaldi, che tentarono con due galee e trecento uomini nel 1291, sì nel 1291, di raggiungere le Indie passando per il grande mare ad occidente. I loro sogni si infransero al largo del Senegal e qualche secolo dopo i navigatori portoghesi ne troveranno le tracce presso la memoria degli abitanti di quei lidi. Le ossa Colombo se le fa tra Rodi e Gibilterra al servizio di mercanti di tutta Europa e prosegue i suoi traffici, non sempre lindi, così i Campus ultraprogressisti d’America sono contenti, sulle coste atlantiche per conto di Spagnoli e Portoghesi. Evidentemente non è un sempliciotto visto che da tutti i suoi spostamenti torna a casa sempre con un’annotazione, un’informazione, un rapporto in più, tutti tasselli che pian piano accresceranno a dismisura il suo già buono bagaglio di conoscenze. Oltreché di navigazione si intende di astronomia, geografia, meteorologia, letteratura; si può dire un perfetto Umanista del tempo.
Dunque si trova, attorno al 1480, al centro di una rete complessa di rapporti fra personalità sapienti, raffinate e lungimiranti e in un punto davvero particolare dell’Europa di quel tempo, il fronte della Reconquista spagnola e il Portogallo degli illuminati Re navigatori. Il fratello Bartolomeo è un esperto cartografo proprio alla corte lusitana e raccoglie da tempo mappe, resoconti, appunti di viaggio, pergamene, antichi libri greci ed arabi che descrivono linee ed approdi di coste note e meno note. Sono informazioni segretissime per le Nazioni del tempo, in un epoca in cui il mondo è ancora tutto da scoprire e disegnare. Qualcuno ha scritto che furono i marinai, coi loro sacrifici e il loro coraggio nello sfidare l’ignoto, a tracciare il vero corso della Storia.
Grazie al Bartolomeo, Cristoforo può così accedere direttamente a documenti preziosissimi e poco conosciuti riguardanti l’operato di una delle più forti Marine di quel momento. In quegli anni i portoghesi stanno compiendo l’esplorazione delle coste africane e nel 1488 giungono con Bartolomeu Dias a doppiare il Capo delle Tempeste, ribattezzato subito “di Buona Speranza” dal Re Giovanni II e dimostrano quindi che l’Africa è circumnavigabile. I geografi di Lisbona sono così bravi che hanno calcolato la distanza della penisola Iberica dalla Cina con una buona approssimazione: 16.500 chilometri anziché i 19.000 reali, per questo respingono la richiesta di Colombo di armargli delle navi per permettergli il raggiungimento del Catai navigando verso occidente. Nessuna imbarcazione dell’epoca è all’altezza di un viaggio simile, troppo piccola per contenere le derrate alimentari necessarie. E’ a questo punto che molti studiosi giustamente si chiedono: come poteva un abile navigatore come Colombo che aveva percorso tutto il Mediterraneo da Gibilterra a Rodi e l’Atlantico dalla Guinea all’Islanda (sì, Islanda, per conto di alcuni mercanti Inglesi; forse proprio lì sentì le leggende di una terra a poche settimane di mare, qualcuno gli narrò delle imprese dei Vichinghi?), come poteva un simile professionista non essere d’accordo con il consesso dei migliori geografi portoghesi? Eppure il genovese non si arrende…
Da Lisbona si sposta a Siviglia e Cordoba sempre alla ricerca di sponsor e fondi per realizzare la sua impresa. In queste città risiedono ancora parecchi nobili Mori, mercanti Ebrei, banchieri Italiani, religiosi Cristiani e al di là della campagna di Reconquista da parte di Ferdinando e Isabella gli scambi fra le personalità illustri delle tre religioni e culture sono ancora frequenti e proficui. Sarà grazie a queste esclusive conoscenze che Colombo viene introdotto a corte al cospetto della regina Isabella. Intanto, il “cocciuto marinaio” prosegue i suoi studi, le sue misurazioni, le sue ricerche. Conosce per via epistolare Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico, geografo ed astronomo fiorentino, legge Eratostene, l’uomo che per primo, nel III secolo a.C. misurò il raggio e la circonferenza terrestre con incredibile esattezza, intesse continui rapporti con prelati, finanzieri, cortigiani che possano in un modo o nell’altro avallare le sue richieste. Di più: forse alla fine gode di uno straordinario quanto insperato appoggio, quello di Papa Innocenzo VIII, secondo molti studiosi un ebreo genovese, Giovanni Battista Cybo, grande amico di Lorenzo il Magnifico, papa sicuramente controverso, persecutore di maghi e streghe, squallido simoniaco, ma anche collegato con circoli di pensatori al limite dell’eresia. Un incredibile mistero è rappresentato dall’iscrizione che correda la sua tomba in S. Pietro: “Novi orbis suo aevo inventi gloria”, “Durante il suo regno la gloria della scoperta del Nuovo Mondo”. Ma il suo pontificato termina il 25 luglio del 1492, nove giorni prima della partenza di Colombo. Forse è solo un errore (strano errore non corretto dal Papa successivo, Alessandro VI Borgia, personaggio sicuramente poco incline ad avallare glorie altrui…) ma è su questo ed altri indizi che si basa e corrobora addirittura la leggenda del predescubrimiento de America, la prescoperta del Nuovo Mondo, avvenuta almeno sette anni prima… Quello del 1492 altro non sarebbe stato che un ritorno e addirittura una messinscena dei sovrani di Spagna per troncare sul nascere eventuali pretese di altre nazioni sulle nuove terre. La testardaggine di Colombo di fronte ai precisi geografi portoghesi ne sarebbe una prova.
Ancora, molti evidenziano la data che cita Piri Reis, il famoso ammiraglio turco, sulla sua mappa del 1513 in riferimento alla scoperta fatta dall’”infedele Colombo”: 1485…
Bassezze, intrighi, interessi spaventosi sulle nuove terre e le nuove rotte avrebbero successivamente “aggiustato” la storia così come ci è stata tramandata. Non dimentichiamo il peso delle calunnie sotto cui è morto, in miseria, lo stesso Colombo, non appena la Corona di Spagna comprese l’importanza della scoperta. Le pretese del navigatore genovese, contrattate al momento della partenza da Palos, dovevano essere demolite. Chissà…
Sono molti i misteri, le leggende ed anche il sangue che si addensano attorno a quel fatidico 12 ottobre 1492, che tutti impariamo a memoria sin dai banchi di scuola. Perché poi, a vedere per primo la terra dalla cotta della Pinta alle 2 di notte del 12 ottobre fu un marinaio di Siviglia, tale Rodrigo de Triana, musulmano convertito al Cristianesimo per potersi imbarcare e far parte della spedizione. E al di là delle ipotesi e delle congetture, al di là degli intrighi di Stato a me rimane per sempre impressa la forza evocativa di quella “candelilla”, in fondo al buio della mente di un uomo, in definitiva al centro della Storia e più forte di tutto e di tutti…