Le pratiche sessuali, “l’uso dei piaceri” come le chiamava Foucault, definiscono una civiltà più di quanto non facciano altri aspetti importanti come il sistema giuridico, quello economico, l’ideologia dominante o i valori etici vigenti. Lo dimostra la storia delle formazioni sociali conosciute. E ciò è ancor più denso di verità se si considerino fenomeni aberranti come il Daesh, alimentato da un’interpretazione fondamentalista radicale dell’Islam impastata di arcaismo e di ferocia. In altre parole, il rapporto fra sesso e jihadismo, così com’è vissuto nei territori “governati” dall’Isis, la dice lunga su cosa alberghi nelle menti di coloro che combattono per la sciagurata prospettiva del Califfato mondiale. Un’illuminante voce sulla condizione delle donne in quelle terre, in particolare sullo sfruttamento sessuale delle schiave sottomesse alla libido perversa dei jihadisti, ci viene da Bechir, ex calciatore tunisino passato all’Isis, che ha raccontato la sua tragica esperienza in un libro di Simone Di Meo “Ho scelto di vivere all’inferno” (Edizioni Imprimatur).
Chi ha denaro – spiega Bechir – può sposarsi, comprare casa, fare shopping, avere auto di lusso, godere di molte donne anche contro la loro volontà. Può bere alcolici, praticare l’omosessualità, corrompere chiunque e dovunque. Non deve temere i tribunali, perché può tranquillamente infrangere la legge e organizzare qualsiasi genere di traffico illegale in cambio di robuste mazzette. Si può avere tutto, ma non l’amore. Il sesso sì, il sentimento no. “I terroristi siriani e iracheni si accontentano di acquistare – come capre in una fiera – le compagne con cui divideranno il letto e la casa. Molto spesso si tratta di ragazze non ancora maggiorenni o, addirittura, di bambine. C’è pure chi decide di prendere in moglie le combattenti che si sono arruolate nelle nostre brigate, ma è una minoranza – rivela Bechir e aggiunge – Di solito, un jihadista va al mercato delle donne e ne sceglie una. Pagandola molto se è bella e se ha gli occhi verdi e la dentatura sana. Due qualità estetiche molto ricercate in Siria, in particolar modo tra le schiave yazidi che non assurgono mai al rango di moglie, ma solo di schiava sessuale… Non c’è bisogno di alcun documento, nessun contratto. Basta la parola. Basta una stretta di mano, e la femmina passa da un padrone all’altro. I ricchi arabi sono i clienti migliori… saldano con oro e gioielli. Hanno un solo vezzo: pretendono che la sposa sia consegnata loro perfettamente depilata nelle parti intime”.
Il rito doloroso della depilazione avviene in questo modo: un’”estetista esperta” prende in consegna la disgraziata designata. Scioglie in una scodella a fuoco lento diversi tipi di olii, una manciata di zucchero e tuorlo d’uovo. Impasta fino a ottenere una specie di crema rossastra che favorisce la rimozione dei peli. Operazione attuata mediante vecchi rasoi, coltelli dalla lama arrugginita e, in qualche caso, lamette rotte. Terminata la depilazione, la schiava è ora pronta per essere acquistata. Dovrà indossare sotto il niqab e il sitar gli indumenti pretesi dal nuovo padrone: completini intimi occidentali, giarrettiere, slip… Cose che in altre circostanze sono considerate blasfeme, vietate. Il suo signore non la toccherà, non la bacerà, non l’accarezzerà. Le regalerà a malapena uno sguardo. Lei dovrà tenere gli occhi bassi, consapevole che da quel momento in poi sarà soltanto un oggetto di piacere privo di volontà e di autonomia. Per le spose poi, differenti dalle schiave vere e proprie, la prima notte di nozze è la più pericolosa. ”Se non sono vergini rischiano la vita. Il marito considera un affronto un rapporto che sia stato consumato prima del matrimonio, pure se si tratta di uno stupro. La donna è ritenuta impura. In quel caso, al posto del panno rosso di sangue, il marito mostrerà la sua testa mozzata a ricompensa dell’oltraggio subito”.
A un certo punto il racconto di Bechir cambia tono e si trasforma in un drammatico autodafé narrato in prima persona: “Ho portato con i miei Pk decine di schiave al macello. Le ho date in pasto ai jihadisti drogati e assatanati di sesso che ne hanno fatto scempio in stupri di gruppo. Tante non hanno resistito al dolore e sono morte, o si sono suicidate. Altre moriranno nel giro di qualche anno per le malattie che hanno contratto cambiando decine, centinaia di partner ogni mese. Ho visto massacrare decine di bambini yazidi, poi buttati come carcasse di cani in fosse comuni. Ho fatto ingoiare benzina agli uomini che non volevano ubbidirmi, e li ho dati alle fiamme. Nell’Is tutto è morte. È una notte lunghissima su cui non si alza l’alba”.