Un tratto dell’Aqua Appia, probabilmente l’acquedotto più antico di Roma risalente al 312 avanti Cristo, è stato rinvenuto a poco meno di venti metri di profondità, nel cuore della città, in piazza Celimontana, nell’area di cantiere che si trova proprio di fronte all’Ospedale militare del Celio, durante gli scavi della Metro C. Tra le ipotesi più verosimili è possibile, quindi, una identificazione con un tratto dell’acquedotto che sicuramente attraversava questo quartiere a una notevolissima profondità. Una scoperta definita “tra le più interessanti degli ultimi anni” dagli archeologi.
L’acquedotto, come spiega Simona Morretta, funzionario archeologo responsabile dell’area Celio per la Soprintendenza, che ha condotto gli scavi con Paola Palazzo e la cooperativa”Archeologia, costruito 2300 anni fa, venne abbandonato nella primissima età imperiale e fu successivamente utilizzato come fogna in età tardo antica.
A diciotto metri di profondità dall’attuale piano di calpestio, è stata ritrovata anche una tomba con un corredo funerario dell’Età del Ferro, ossia risalente alla fine del X e gli inizi del IX secolo, sempre avanti Cristo, che è una novità per l’area del Celio. Roma, d’altronde si sa, si è sempre costruita strato su strato, utilizzando spesso quello precedente come fondazione per lo strato successivo.
Della scoperta, resa nota lunedì 3 aprile, ma che in realtà risale agli ultimi mesi del 2016, quando si sono concluse le indagini archeologiche svolte nei giardini di piazza Celimontana, si è discusso durante la prima giornata del convegno ‘Roma medio repubblicana: dalla conquista di Veio alla battaglia di Zama’, in programma dal 5 al 7 aprile presso l’Università “Sapienza”, nella sala dell’Odeion, presso la Facoltà di Lettere.
Durante il convegno, gli archeologi hanno illustrato alla comunità scientifica la loro relazione intitolata “Un tratto di acquedotto repubblicano rinvenuto negli scavi Metro c di piazza Celimonana”. «Solo grazie alle paratie di cemento per i lavori della metro — spiega Morretta — siamo potuti scendere a quel livello, studiando per la prima volta tutta insieme l’intera stratigrafia di Roma, cioè partendo dalle case attuali e arrivando giù giù fino a una tomba con corredo funerario, due ciotole, risalente all’Età del Ferro, fine X-inizi IX secolo avanti Cristo».
Lo scavo, preliminare alle opere civili, è stato eseguito all’interno del Pozzo 3.2, un pozzo circolare di aerazione di circa 32 metri di diametro, esteso per una superficie di oltre 800 metri quadri, ubicato nell’angolo nordorientale della piazza.
Una struttura seriale, l’Acquedotto, comunque in grado di dare informazioni: tante, precise e inedite. «Ancora non ne conosciamo lo sviluppo in proiezione, ovvero da dove provenisse e dove andasse a finire. La fonte in questi casi è, come sempre, Frontino, autore di un noto trattato sugli acquedotti di Roma, la sua opera più importante, del 102 dopo Cristo. Lui li descrive tutti, ed è da Frontino che sappiamo che alcuni acquedotti passavano dal Celio. Nulla però era stato mai ritrovato. Inoltre, dalla datazione dei materiali rinvenuti, il nostro risulta essere di poco prima della metà del Terzo secolo, media Età repubblicana, dunque circa duemila e trecento anni fa. A quale Acquedotto appartenga il nostro tratto? Non lo sappiamo ancora. L’Anio Vetus, dall’Aniene, è datato 272 avanti Cristo. Come periodo ci saremmo. Ma Frontino dice che l’Anio Vetus non passava dal Celio, anche se la datazione ci riporterebbe lì. Dunque è più probabile si tratti dell’Aqua Appia, il primo Acquedotto costruito a Roma. Per questa opera ritrovata, davvero imponente, dobbiamo ipotizzare una costruzione durata decenni, per cui ecco che come datazione ci potremmo stare. E poi si sa che l’Aqua Appia era profondissimo, come profondissimo è questo ritrovato».
Un’opera, inoltre, rinvenuta completamente interrata: «E proprio gli intatti strati di interro — conclude Morretta — ci hanno fornito la data di abbandono dell’utilizzo, nella primissima età imperiale. Poi l’acquedotto fu usato come fogna in età tardo antica. Altra curiosità, negli strati sono stati ritrovati avanzi consistenti di pasti, materia di studio eccezionale per l’archeo-zoologo. Ho appena ricevuto la sua relazione, davvero interessante. E ora sappiamo esattamente cosa mangiavano i romani aristocratici con le grandi ville nei dintorni. Nelle fogne è stato trovato di tutto, avanzi di mammiferi domestici, parti di cinghiali, moltissima avifauna rara, cibi esotici. Non solo polli, galli o capponi, ma anche cigni e fagiani, oltre a enormi pesci pescabili al largo, come la cernia bruna».
L’acquedotto è alto circa due metri compresa la copertura a doppio spiovente in tufo e i blocchi sono regolari, disposti in cinque filari sovrapposti. Il piano di scorrimento interno è costituito da uno spesso strato di cocciopesto, rinvenuto in perfetto stato di conservazione, che presenta una leggerissima pendenza da Est a Ovest. La mancanza di tracce di calcare all’interno dello speco lascia supporre che il suo utilizzo nel tempo sia stato limitato o che l’abbandono della struttura sia di poco posteriore a un intervento di manutenzione. L’acquedotto, all’estremità nord-orientale, utilizza come base la fondazione di una struttura preesistente, una vasca, anch’essa realizzata in blocchi in cappellaccio. All’estremità opposta, su entrambi i lati, sono presenti tracce di un intervento di consolidamento, realizzato con la costruzione di speroni in tufo giallo. L’acqua veniva distribuita attraverso una tubazione in piombo (fistula aquaria), collegata all’acquedotto da una canaletta e un pozzetto di decantazione.
La struttura per ora è stata smontata e in parte delocalizzata, in attesa di un rimontaggio futuro in una sede ancora da individuare.