Il 1911 è stato un anno di inaugurazione per molti impianti riservati alla multidisciplinarità sportiva. Roma, Torino e non poteva restare immune dal fascino dello sport la città “Superba”, la Genova del grande porto, incontro di interesse commerciale, industriale e culturale. Questa sua centralità e unicità ha permesso la completa contaminazione delle abitudini più in voga del mondo britannico, assiduo frequentatore del porto, e tra questi non poteva venire meno l’ingresso trionfale dello sport di moda di fine Ottocento: il football.
Il calcio in Italia ha origini qui, dall’area portuale fino a toccare le zone paludose e torrenziali, passando per le Ville nobiliari del 500. Tutto sembra spontaneamente possibile, nonostante Genova sia tutto meno che un luogo facile per la passione sfrenata dei giovani locali che imparano dagli amici del Regno Unito: strade in salita, scalinate, i suoi vicoli stretti e scoscesi, poco spazio per la fantasia di improvvisati amatori del calcio nostrano.
Eppure solo qui poteva nascere il club più antico d’Italia, il Genoa Cricket and Athletic club 1893. E la sua casa, il luogo sacro dove poter mostrare il gioco ai più alti livelli professionistici, seppur pioneristici, diventa un vero e proprio quartiere: Marassi.
Il quartiere prende il nome dalla crasi del termine greco “mar” (palude) e un termine dialettale genovese che indica l’aspetto paludoso e salmastro di un corso d’acqua (il Bisagno) che incontrava il Ferragiano. Necessaria fu una bonifica della zona, da cui il nome della Val Bisagno. Particolare non da poco che Marassi per molti anni fu comune indipendente da Genova; solo dal 1873 venne inglobato nel comune del capoluogo ligure.
Appena reso nuovo quartiere di Genova, Marassi fu utilizzato per dislocare il carcere giudiziario della città e venne individuato come il luogo migliore per collocare il campo sportivo dove far disputare le partite del prestigioso club rossoblu, fino ad allora in giro per velodromi (a Ponte Carrega) e campi in prestito di squadre minori. Anche il Velodromo si trovava, volere del fato, lungo il torrente Bisagno, ma la zona ben presto venne destinata alla creazione del gasometro della città. Proprio nel Velodromo si disputarono i primi match ufficiali del Genoa F.C..
La portata e il successo dei primi eventi calcistici permettono ancora di avere una minuziosa e dettagliata narrazione e documentazione di questi epici incontri, ma non solo. Molti dettagli affascinanti e romantici si possono menzionare: l’esistenza di un biglietto d’ingresso a pagamento (1 lira a tifoso, soci a metà prezzo, con supplemento sedia al costo di 1 lira in più) e tante altre spese come quelle tramviarie di trasferimento per le squadre, lo strumento principale dell’arbitro (il fischietto) e il vermouth offerto ai protagonisti sul campo. Esistono racconti letterari, reportage giornalistici illustri (con la firma prestigiosa di Renato Tosatti, giornalista vittima della strage di Superga e padre dell’altrettanto noto e compianto Giorgio) su quanto però tutto fosse ancora romanticamente improvvisato: spogliatoi a cielo aperto lungo il bordo del campo, con calciatori spesso impegnati a verificare ancora la presenza dei loro abiti civili.
Con la nuova destinazione d’uso della zona del velodromo, la necessità si fa virtù.
Siamo nel 1910, è l’alba del nuovo stadio di Genova. Simbolicamente viene individuata nel 10 luglio la data dove tutto ebbe inizio, per iniziativa del presidente genoano Edoardo Pasteur, pioniere di quella storica compagine, il quale accettò la proposta di un ricco e nobile socio, il marchese Musso Piantelli. Il marchese aveva consigliato di utilizzare anche per il football l’area del galoppatoio che era all’interno della sua proprietà (Villa centurione Musso Piantelli), una residenza del 500, ancora “a vista” da un settore dello stadio attuale.
Musso Piantelli pose come condizione di conservare il maneggio, di cui aveva cura e passione, così il terreno di gioco rimase circondato dall’anello dedicato al galoppatoio. Nella costruzione, affidata alla società Oneto, venne subito affrontata e realizzata la necessità di tribune coperte disposte lungo il parterre, ai piedi del torrente Bisagno. Interessante la loro capienza (25.000), interamente in legno, inevitabile lo stile d’influenza britannica
Il primo match sul nuovo campo si disputa il 22 gennaio 1911, quando in programma c’è il match tra Genoa ed Internazionale e l’impianto prenderà il nome di Campo di via del Piano. Vincerà il club nerazzurro di Milano, ma da quel momento il Genoa avrà trovato la sua casa. Non fortunata nemmeno l’inaugurazione delle nuove tribune con il riassestamento del terreno di gioco: vincerà il Piemonte la gara del 14 maggio 2011. Tanto però fu il clamore per la portata degli eventi e per la sacralità del “nuovo impianto” che già nei mesi successivi, ad inizio 1912, una ditta acquistava annualmente il diritto a veicolare sponsor che volessero sfruttare il campo per farsi conoscere, oltre a garantire un piccolo intermezzo musicale durante la pausa del match.
Saltuariamente il Genoa abbandonava la sua casa per le frequenti implementazioni: dagli spogliatoi alle stanze riservate agli ufficiali di gara, di volta in volta il club chiedeva “asilo” ai campi delle altre realtà locali, a volte “superbamente” sfruttando fama e nome per fare uso di terreni meno curati, ma sempre col fine utilitaristico di non danneggiare il proprio campo. Da questo viavai del grande club dei pionieri genoani, si rende possibile comprendere la portata del successo del football attraverso il conteggio di tutte le micro realtà che giocavano in città. Lungo il torrente Torbella trovava sede la Sampierdaranese, che poi venne ospitata dal terreno dell’asilo delle suore Cappellone presso la chiesa di Nostra Signora delle Grazie prima, e dal giardino di Villa Scassi dopo. Particolare la sede dell’Andrea Doria, quella dei cugini rivali di sempre, perché limitrofa all’area della nuova casa genoana: il campo della Cajenna.
Questo campo venne denominato così per il clima infernale che si creava dalla presenza del pubblico a ridosso del terreno di gioco, sprovvisto di tribune, infatti era appena delimitato da una transenna per la quale il Genoa fece pagare 1000 lire di indennizzo più le spese di manutenzione, fino al 1926. In quella stagione, la Cajenna fu dichiarato inagibile dai gerarchi locali e quindi l’Andrea Doria traslocò con un indennizzo di 20000 lire e il trasferimento in rossoblu del portiere Bacigalupo pagato dal Genoa stesso, che divenne unico proprietario del terreno.
L’interesse societario, con l’acquisto della Cajenna, era di rivedere il progetto Marassi, comprendendo la zona appena inglobata. Dal 1927 al 1934 si realizzò il nuovo impianto, che cambiò pelle e materiali: venne sostituito il legno, per dare spazio al cemento armato, ampliata la capacità fino a 30000 spettatori, eretta la curva nei luoghi della Cajenna, per quella che poi sarà chiamata ai giorni nostri la Gradinata Nord, luogo che ospita il tifo più acceso del Grifone. Progetto sempre più affascinante, lo stadio di Via del Campo, quartiere Marassi, è alla ricerca di un nome: verrà scelto d’intitolare la nuova costruzione a Luigi Ferraris, glorioso e carismatico centromediano del club, caduto in guerra il 23 agosto 1915 a Cima Maggio, e medaglia d’argento al valore.
La centralità dell’impianto, la sua capacità di ospitare gli eventi più importanti ed ufficiali del calcio, renderà vita breve a tutti i piccoli campi che ospitavano gli altri club. La necessità di confluire le tante piccole realtà in una nuova realtà porterà alla nascita della Sampdoria nel 1946, quando il Ferraris è già polo unico per il calcio e lo sport, creando la rivalità storica con il Genoa, che mantenne, invece, la sua integrità originaria. Dal1946 il Comune prende in consegna lo stadio Ferraris, ceduto dal Genoa, che diventerà così lo stadio di entrambe le squadre della città.
Forse anche per questo lo stadio conserva erroneamente il nome di Marassi (mai riconosciuto ufficialmente), dato che il personaggio a cui è intitolato in realtà è espressione ed icona di uno solo dei due club e nonostante si sia provato in passato a trovare una denominazione comune, che potesse rappresentare le due società vigenti, non si è riusciti a raggiunger concretamente tale obiettivo.
La realizzazione completa dello stadio sarà un nuovo compito del Comune e passerà per la nascita dei settori Distinti nel 1947, realizzati su due livelli per renderli compatibili con la distanza breve che separa dalla Villa Musso Piantelli, portando la capienza a 57000 unità.
L’opera finale, in concomitanza con i mondiali del 1990 ospitati in Italia fu l’occasione per ridare omogeneità e continuità ad una struttura evidentemente segnata dalle diverse epoche di ristrutturazione. L’area rimase la medesima, delimitata da impianti, ville e da zone di torrente, che ne impedirono l’ottimizzazione per la creazione di posti auto e zone pedonali di accesso allo stadio. Resta invece altissimo il fascino di uno stadio rimasto “all’inglese”, nel rispetto di storia e tradizione di quelle che sono state le mescolanze culturali con il Regno Unito: la pianta quadrata, il colore rosso delle sue colonne angolari, le quattro travi maestre del livello più alto, collegate dalle grandi torri angolari (44 mt di altezza), a sostegno della copertura totale degli spalti e, fin da subito, senza adeguamenti successivi, la vicinanza ridottissima degli spalti (di cui poi si è ridotta la capienza a 36600 posti) dal campo. Come in Inghilterra sì, ma anche come è nato il calcio a Genova, al campo di Via del Piano così come al campo della Cajenna.
Uno stadio, il più antico stadio tra quelli ancora in uso per il calcio italiano, in grado di superare le avversità del terreno, della sua stretta area di competenza; uno stadio che nel tempo ha saputo conservare il suo outfit unico; uno stadio che è diventato patrimonio di una città.
Tutto mescolabile, tranne le due anime calcistiche che infatti trovano casa nello stesso luogo, nel medesimo quartiere, allo stesso indirizzo. Per una parte si chiama Ferraris, per l’altra Marassi. Per tutti la più antica culla del calcio italiano.