S’intitola “Il caso Pirandello” la mostra sullo scrittore, Nobel per la Letteratura, allestita in occasione dei 150 anni dalla nascita e aperta dal 23 novembre al 14 gennaio 2018 a Roma, in due diverse sedi: il Teatro di Villa Torlonia e la Casa Museo in cui visse, nella adiacente Via Antonio Bosio.
Tre i focus dell’esposizione: la scoperta dell’uomo Pirandello attraverso la sua vita familiare; le passioni; il suo mondo di artista e filosofo, ma anche la parola dipinta, quel mistero compreso, sospeso tra la realtà e il sogno.
La pittura per Pirandello è trasposizione di tutto quanto lo colpisce. Non un mezzo per sottrarsi alla complessità della vita quotidiana, nè un semplice passatempo, ma piuttosto l’immagine còlta e fermata per un’ulteriore analisi, per raccordare sempre nuove riflessioni. Ovunque vada, soprattutto d’estate, è solito portarsi dietro la scatola dei colori e con essi ferma sulle tavolette di cui è sempre fornito, le impressioni che la natura suscita nel suo animo, apprezzandone la bellezza e cercando al tempo stesso di penetrarne la misteriosa essenza.
Nato a Girgenti il 28 giugno del 1867 è anche drammaturgo e poeta. Per la sua produzione, i temi affrontati nelle opere e l’innovazione del racconto teatrale viene considerato tra le maggiori personalità artistiche del XX secolo.
La narrativa pirandelliana è autobiografica a tutti gli effetti, vi si può infatti trovare ogni cosa della sua vita: la descrizione semplice e diretta del giardino di casa, dei cipressi che si vedono dalla sua finestra, della campagna della sua infanzia o di quella delle proprie vacanze in montagna a Coazze di Monteluco o di Montepulciano. Vi si può intravedere una giara rotta da lui vista in un magazzino siciliano o una buca di miniera visitata, ma più e meglio ancora vi si possono riconoscere la madre, il padre, la moglie e figli, parenti, amici e conoscenti, così come le stanze da lui abitate a Girgenti, a Palermo e a Roma. Ma anche Soriano nel Cimino nel viterbese, un bel borgo storico immerso nel verde dell’omonimo monte.
Pirandello attraverso la sua opera ci lascia un ritratto preciso, secondo la sua personale prospettiva, dell’Italia dei primi decenni dello scorso secolo.
Nei suoi scritti incontriamo le convinzioni politiche, le preoccupazioni morali, la sua ambigua compassione nei confronti degli uomini, le definizioni del mondo e della cultura. Nei racconti, nei romanzi, nel teatro pirandelliano e persino nella pittura troviamo quell’intersecarsi di correnti contraddittorie che attraversano tutta la sua vita.
Per Pirandello è il teatro il luogo della verità. L’unico spazio che consente l’espressione di quello che può considerarsi il relativismo del suo pensiero. Grazie alle maschere indossate è possibile infatti, essere se stessi facendo cadere ogni sovrastruttura della vita: convenzioni, ruoli sociali, addirittura l’identità anagrafica.
In punta di penna egli tratteggia quello che è una sorta di antagonismo tra l’assuefazione borghese o piccolo-borghese alle regole, alle norme e alla mentalità del tempo e una ribellione che viene dal profondo, una tumultuosità che non sente ragioni nella sua iconoclastia.
Pirandello, senza perdere mai di tensione, è moralista o pedagogo di nichilismo, patriota o guastatore, comprensivo o intollerante secondo le occasioni e le provocazioni interne ed esterne del momento. Nella vita è un uomo affettuoso, paziente e mansueto sebbene contestualizzato in uno scenario familiare drammatico. Disposto alle relazioni sociali e non privo (di tanto in tanto) di scherzosa partecipazione verso gli altri.
Il saggio sull’umorismo, ad esempio, si chiude con una sorta di confessione autobiografica. L’uomo è visto così da vicino tanto da tramutarsi in maschera crudele, come pure da lontano tanto da scomparire nell’indefinito. Il telescopio “macchinetta infernale” è il simbolo di questa situazione, “mentre l’occhio guarda di sotto, dalla lente più piccola e vede grande ciò che la natura provvidenzialmente aveva voluto farci vedere piccolo, l’anima nostra che fa? Salta a guardar di sopra, dalla lente più grande e il telescopio allora diventa un terribile strumento che subissa la terra e l’uomo e tutte le nostre glorie e grandezze”.
Se Pirandello ci parla in tutti i modi di quella che lui chiama “fantocciata della vita” è perché i fantocci sono l’immagine esemplare ed esatta di un’esistenza alienata e depersonalizzata. A questo riguardo le metafore nella sua opera sono numerosissime e vanno da quella che da sempre riproduce la distanza astronomica con la lente deformante a quella, più frequente, del personaggio allo specchio che pronuncia le parole: “C’è qualcuno che sta vivendo la mia vita. Io non ne so nulla”.
L’uomo insomma trova sempre un compromesso tra ruoli, forme, maschere e frammentazioni tanto da essere, che dir si voglia, “uno, nessuno e centomila”.