Pierluigi Battista, firma del Corriere della Sera, nel suo ultimo libro: Mio padre era fascista (Mondadori, pp. 162, euro 17,50), uscito da pochi giorni, racconta della sofferenza del padre, inasprita dal figlio che aveva scelto la “parte” opposta e rifiutava di ascoltare le sue ragioni.
Il padre in questione è l’avvocato Vittorio Battista, reduce della Rsi e prigioniero a Coltano, il campo dei non-cooperatori, quello in cui fu recluso in una gabbia il poeta Ezra Pound prima di finire in un manicomio criminale americano.
Un vero repubblichino che si ritrova a lottare per difendere le sue idee anche nella propria casa.
Frammento interessante è quello in cui Pierluigi, reduce da una manifestazione in favore di Achille Lollo (l’imputato del rogo e della morte dei fratelli Mattei) si trova davanti al padre, in veste di avvocato difensore della famiglia.
Ma l’Avvocato Battista non fu solo colui che difese gli interessi della famiglia Mattei, fu anche l’avvocato del terrorista rosso Valerio Morucci.
«Mio padre erano due. C’era mio padre integrato. E c’era quello apocalittico. C’era il borghese tranquillo che osservava con orgoglio una sua rigorosa etica del lavoro. E c’era il fascista sconfitto e piagato che rimuginava senza sosta, nel suo foro interiore, risentimento e rabbia.
C’era il conservatore e c’era il ribelle. C’era il professionista di successo, l’avvocato stimato nel mondo forense, che esibiva con fierezza la sua casa arredata con gusto tradizionale, la sua famiglia numerosa, i simboli del benessere.
E c’era l’uomo intimamente devastato da una storia che lo aveva condannato, tormentato da un dolore indicibile, schiacciato da un’ombra pesante, mangiato dentro da un’ossessione che non lo abbandonava mai. C’era l’italiano solare, socievole, spiritoso, con un senso dell’umorismo che mi piace ricordare ancora, arguto e sottile. E c’era un uomo, mio padre, divorato dal suo lato notturno, esacerbato, cupo, talvolta lugubre».