Da qualche decennio la Comunità di Sant’Egidio ha avviato una preziosa opera di dialogo interreligioso (ogni anno si svolge un meeting su questo tema), anzitutto fra le tre grandi religioni monoteiste e poi con le altre religioni del pianeta. Dialogo inteso non come perdita di identità o generico ecumenismo ma capacità di valorizzare di ogni religione valori e principi che dovrebbero fondare un nuovo umanesimo.
La Comunità parla, molto opportunamente, di “grammatica della riconciliazione tra gente diversa nella coabitazione”. Pensiamo per un momento al buddhismo, che pure sembra assai distante dalla religione cattolica: è infatti una religione “atea” e preferisce appellarsi al “divino” che abita ciascuno di noi (però anche Dante nell’ultimo canto del Paradiso quando vede Dio vede la “nostra effige”!). Alla fine il suo contenuto etico-pratico somiglia molto al Discorso della Montagna. C’è un libro luminoso, che si può leggere come una preghiera laica, che raccomando: Sette inviti (Mondadori), ed è di un medico americano buddhista – Frank Ostasenski – che a San Francisco ha fondato lo Zen Hospital Project, dove per anni ha seguito e segue, sul “precipizio della morte”, i malati terminali. Nessuna vaporosa New Age.
L’autore raccontando il suo lavoro, la concreta relazione con i pazienti e i loro familiari, non nasconde fallimenti e contraddizioni. Solo che per lui la morte non è un “errore” o una “fregatura”, come per il borghese (che si impegna ansiosamente a rimuoverla), bensì l’altra faccia della vita, ad essa necessaria. Dunque un esercizio quotidiano di meditazione sulla nostra finitezza può farci vivere più pienamente il presente, senza alienarci nel futuro, senza cercare una soddisfazione sempre sfuggente (nello shopping o nel mangiare compulsivo o nella smania di potere). Anche perché “non c’è vita che / almeno per un attimo / non sia stata immortale” (Wislawa Szymborska, 1986). Così l’altruismo non è solo sacrificarsi per gli altri ma nasce dal semplice riconoscimento – razionale e empatico – di una comune umanità. A ben vedere anche Cristo parla del Regno dei Cieli come di qualcosa che non dovrà accadere nel futuro ma che già esiste ora (la sua è una escatologia del presente): basta solo saperlo riconoscere.