Fino all’11 febbraio 2018 a Roma, nella sede del Complesso del Vittoriano, si possono ammirare 60 opere del padre dell’Impressionismo provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, quelle stesse opere che l’artista conservava nella sua ultima, amatissima, dimora di Giverny e che il figlio Michel donò al Museo.
Il percorso espositivo rende conto, oltre che dell’evoluzione della carriera di Monet, anche delle sue molteplici sfaccettature, restituendo la ricchezza artistica della sua produzione. Dalle celebri caricature della fine degli anni 50 dell’800 ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville e delle sue tante dimore; dai ritratti dei figli alle tele dedicate ai fiori del suo giardino, fino alla modernissima resa dei salici piangenti, del viale delle rose o del ponticello giapponese, e poi alle monumentali Ninfee, che “deflagrano nel pulviscolo violetto e nella nebbia radiosa”.
Tra i capolavori in mostra: Ninfee (1916-1919), Le Rose (1925-1926), Londres. Le Parlement. Reflets sur la Tamise(1905).
Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) uno dei principali protagonisti dell’Impressionismo, matrice delle avanguardie storiche, linguaggio che devia dalla tradizione di stampo accademico. Il nome lo si deve proprio ad un quadro di Monet: Impression du soleil levant del 1872. Un quadro significativo nel quale il sole porta con sé una forte vibrazione atmosferica e l’acqua (che riflette) aumenta effetti e suggestione. In esso la luce non è naturale-reale ed esiste una illusione prospettica, in cui sussiste una pittura di tocco con colori frammentati e le pennellate vibrano sulla tela creando ombre di colore.
Un dipinto in cui esiste ancora la figurazione, ma si coglie una sperimentazione che pone le basi per le successive avanguardie astratte.
Per capire l’evoluzione strutturale-pittorica dell’impressionismo, è interessante relazionare quest’ultima opera di Monet con L’inondazione a Port-Marly (1876) di Alfred Sisley (Parigi 1839-Moret sur Loing 1899). Sisley ha maggiore realismo e, soprattutto, un rispetto verso la natura di cui evidenzia i particolari, rispettandone la sensibilità ed oggettività naturalistica. Invece Monet, impressionista per eccellenza, trasgredisce la tavolozza della natura, offrendo la visione di una nuova percezione.
Monet con la sua pittura supera la tradizione accademica, sfaldando contorni, forme e colori, aprendo la strada a sperimentazione successive di ricerca avanguardistica. Quest’aspetto lo si vede in particolare in Bandiere in rue Montorgueil del 1878, stesso anno in cui Claude Monet dipinse l’opera in mostra Portrait de Michel Monet bébé.
A proposito delle “sue bandiere”, dell’immediatezza della resa del momento, dell’intuizione visiva dello scorcio e dell’atmosfera da lui resa egli, nel 1920, affermò: “Mi piacevano molto le bandiere. Camminavo per la rue Montorgueil con cavalletto e colori. La via era pervasa di bandiere e formicolava di gente. Scoprii un balcone, salii le scale e chiesi il permesso di dipingere. Mi dissero di sì”. In questo quadro l’atmosfera è diffusa, le immagini si fondono tra loro, le bandiere diventano serie di cromatismi, trasformandosi in atmosfera e movimento. I contorni e le forme definite si allontanano mentre si superano armonie classiche, tramite velature ed accenni alle astrazioni, per aprire le strade dell’astrazione.
Sicuramente, senza Monet ed i suoi “compagni impressionisti” (tra tutti, soprattutto Cèzanne, padre della contemporaneità del Novecento), la storia dell’arte figurativa occidentale non avrebbe potuto conoscere i momenti esaltanti del passaggio tra figura ed astratto, dalla resa pittorica di un modulo classico del “visto e vissuto” al ritmo caotico della sintesi cromatica e gestuale tipico delle astrazioni.