Da qualche anno più della metà della popolazione mondiale vive in città. Ma siamo sicuri che, come recitava un proverbio medievale tedesco (ripreso da Marx) l’aria della città renda liberi? Dipende. Certo, rispetto al villaggio la città tende a escludere, proprio attraverso l’anonimato, ogni forma di controllo sociale. E poi per il borghese puritano, preoccupato delle sorti della propria anima, la città moderna è tentacolare per definizione, fonte di seduzioni e avventure (forse per questo l’America puritana ha una segreta avversione per le città e una preferenza per i suburbs).
Eppure quella metà abbondante della popolazione globale va ad abitare non la città ma la immensa, desolata solitudine periferica della metropoli contemporanea, sia essa Parigi, Tokio, New York, Città del Messico, Shangai, Calcutta…Il sociologo Marco d’Eramo la definisce “campagna edificata”, una interminabile sequenza di casermoni e dormitori (in alcuni casi di villette abusive). Così la “città diffusa” celebrata da urbanisti creativi somiglia sinistramente a una “solitudine agreste senza agricoltura, ad alta cementificazione”.
Il che ci porta a discutere di nuovo della forma della città, del valore e degli scopi che oggi intendiamo darle. Città sia come luogo di incontri e scambi, sia “dispositivo” (per usare un termine alla moda) che genera continuamente incontri e scambi. E’ vero che oggi questa funzione tende a essere surrogata da Internet, ma non interamente. Lo spazio fisico, materiale, resta lì, incancellabile: popolato da persone in carne ed ossa, da iniziative sul territorio, forme di aggregazione inedite, riusi degli edifici, e anche da nuovi conflitti. Non è “campagna edificata”. E anzi sta a noi, ai cittadini e alle amministrazioni, rivitalizzarlo, creando un raccordo tra centro e periferia, senza escludere nessuno.
Internet potrebbe perfino essere un modello immateriale di questa, rivitalizzazione e riqualificazione del territorio urbano, dato che nella grande rete ogni punto è a suo modo centrale ed egualmente importante. Evitare che le città storiche diventino solo musei all’aria aperta e parchi tematici per i selfie dei turisti (quando una città diventa “patrimonio dell’Unesco” comincia a morire, osserva sempre Marco ‘Eramo nel suo recente Selfie del mondo, Feltrinelli). L’aria della città può tornare a rendere liberi soltanto se alla “solitudine agreste” dei casermoni periferici sappiamo contrapporre la creazione di nuove opportunità di comunicazione, socialità e creatività per tutti i cittadini.