A Roma Cross The Streets, l’esposizione che racconta 40 anni di street art e writing – MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma nella sede di via Nizza – finisce, dopo essere stata prorogata fino alla data odierna e dopo avere avuto un grande successo di pubblico.
Shepard Fairey, Wk Interact, Invader, Daim, Evol, Chaz Bojourquez, Diamond, JB Rock, Ron English, Lucamaleonte sono soltanto alcuni dei tantissimi artisti di fama internazionale presenti nella sezione “Street Art Stories” curata da Paulo von Vacano, cui si affiancano le altre sezioni di Cross The Streets, fra le quali “Keith Haring Deleted”, dedicata ai due interventi di Keith Haring a Roma nel 1984 e curata da Claudio Crescentini; “Writing a Roma – 1979/2017” curata da Christian Omodeo, esplorazione storica del fenomeno del writing e “Goody Man” a cura di Ben Samba Matundu, l’ultima sezione allestita nel mese di luglio che ha ulteriormente arricchito Cross The Streets.
Alcune considerazioni sul tema……
Il poeta e critico Jean Cassau già nel 1948 a proposito del futuro dell’arte affermava: “… Da questo rinnovato tirocinio dei mestieri, da questa riabilitazione dell’artigianato, potrà venire una cosa molto importante: il ritorno a tecniche utilizzabili socialmente, come la decorazione murale…. La decorazione murale è opera di pazienza, è impresa lunga, è lavoro da operai e da artigiani, e il suo stile deve accordarsi alle condizioni imposte dal materiale, dal clima, dalla temperatura, dalla destinazione sociale del complesso monumentale, dall’architettura di quest’ultimo… Ho come il presentimento che l’evolversi del regime sociale, e le trasformazioni proprie dell’arte, concorreranno alla reintegrazione di quest’ultima nella vita della società”.
Insomma, pieno ripristino del binomio arte-società, ma questa volta nelle strade, quasi a voler esaltare il valore sociale della prima. Ed è così. La Street Art sembra già entrata nel profondo della coscienza collettiva, mediante opere destinate a durare nel tempo, immagini degne di essere ammirate e godute, anche perché veicoli di istanze sociali espresse con un linguaggio universale. Sono opere che possono essere considerate allegorie socio/filosofiche, che entrano nella vita di tutti i giorni e fanno riflettere sul luogo, sul tempo, sulla situazione umana, creando un rapporto strettissimo tra ambiente, fruitore ed artista. La Street Art è lavoro di squadra, come del resto molte forme d’arte contemporanea (installazioni, ambientazioni, video, ecc.), in cui è forte la partecipazione dell’artista al quotidiano, con una particolare attenzione verso le persone comuni, la politica e l’arte. Una visione utopica di una società armonica che fa sì che un semplice muro presente casualmente in strada permetta ad uno o più artisti di realizzare un “unicum” (opera singola o di gruppo) costantemente sottoposto a circostanze ambientali (spazio-tempo) e sociali. Per queste “interferenze” la Street Art, che fa “rete” con un ritmo-contatto quasi elettromagnetico (onde), diventa specifica espressione del nostro tempo, in perfetta simbiosi con la società, essendo autentico vettore comunicazionale.
Il XX° secolo ha visto proliferare un numero incredibile di movimenti artistici, un numero di gran lunga superiore a quello registratosi in tutta la Storia dell’Arte. Ogni movimento è stato generato da particolari motivazioni degli artisti: rottura con il passato, enfasi sui cambiamenti della società, traumi provocati da due conflitti mondiali, ricerca di nuovi mezzi di espressione, scoperte scientifiche e molto altro. In tale contesto, la Street Art – come detto – si caratterizza per una specifica peculiarità che la rende diversa da tutte le altre forme artistiche ossia l’ambientazione nella strada. In tal senso essa si rivolge a tutti ed aspira, pertanto, ad essere considerata l’arte a servizio del popolo. È forse l’esempio più vistoso di massificazione di un’arte che esce dall’atelier dell’artista, dalle gallerie pubbliche e private, dai musei per diventare fruibile e godibile per l’intera società senza distinzione di censo, origini, professioni e stato sociale. Non è un caso che la Street Art si sviluppi negli anni ’80, quando cioè la comunicazione di massa prendeva definitivamente piede grazie allo sviluppo informatico. Infatti, questo tipo di espressione artistica può inserirsi a giusto titolo nel concetto di “villaggio globale”, vaticinato dagli esperti in comunicazione del dopo-guerra. Le sue radici affondano spesso e volentieri nel terreno della contestazione, spesso anche molto spinta e tagliente. È un movimento che ha trovato sin dall’inizio del suo diffondersi linfa vitale proprio nel rifiuto di regole e principi “borghesi” nonché nella denuncia delle più flagranti violazioni dei diritti umani perpetrate dai poteri forti (spesso occulti) dei nostri tempi. In tal senso, per alcuni artisti rappresenta un mezzo pacifico per diffondere le proprie opinioni, una sorta di manifesto politico, una chiamata a raccolta per persone che hanno opinioni comuni, centro virtuale di coloro che si sentono oppressi e discriminati, sfruttati e non rappresentati, emarginati ed isolati. Tutti costoro, grazie all’arte di strada, diventano collettivamente forti. Dunque, una voce artistica pacifica. Nel valutarla, spesso ci troviamo di fronte ad un solido contenuto estetico, dal quale traspare un alto senso civile e particolare attenzione pubblica. Lo stesso anonimato – dietro il quale a volte l’artista si nasconde – può rendere l’opera un manifesto di propaganda clandestina (di “pasquinata” memoria), che riecheggia quelle analoghe vissute nelle dittature di un passato nemmeno troppo lontano o nei famosi murales messicani di Ravera.
Troviamo radici della Street in America durante la Seconda Guerra Mondiale con forme di graffitismo ed in particolare con il fenomeno anglosassone Kilroy (noto come Chad in America e Foo in Australia) che, con alcune scritte esemplari come “Foo was here” oppure “up yours baby”, divenne una sorta di icona, una virtuale connessione angloamericana per condividere spazi in cui liberare pensieri sul concetto di libertà. In America il graffito continua a diffondersi anche dopo la Guerra, scavalcando gli anni ’50 ed approdando agli anni ’60, durante i quali appare improvvisamente sul mercato un “mezzo” tecnico importante: la bomboletta spray, destinata a diventare in breve il “braccio armato” di migliaia di giovani artisti di strada, il simbolo della loro rivoluzione cromatica. Ed è proprio in pieni anni Sessanta (a quei tempi anche a Londra il gruppo punk Clash e Sex Pistol eseguivano una sorta di graffiti nei muri dei luoghi dove si esibivano) che una moltitudine di interventi in giro per l’America ad opera di un giovane di New York propongono la firma d’artista “Taki 183” (le firme grafiche si chiamano “tags”), contribuendo al lancio definitivo della moda graffitara. Negli anni successivi i muri diventano sempre più “editti collettivi”, in cui il messaggio si unisce alla grafia, in particolare a New York, dove il desiderio di condividere pensieri ed idee porta gli artisti ad impossessarsi degli spazi esterni dei treni per utilizzarli come una sorta di diario aperto al mondo, sul quale, tramite il “writing” (al writing la Stret Art deve, tra l’altro, l’idea della comunicazione collettiva) si “disegnano” parole e si creano forme-messaggi. Negli anni Settanta proprio New York diventa luogo ideale per i “writer”: parole ed immagini convivono e relazionano sempre più fra loro gruppi di artisti rivoluzionari. In quel prolifico periodo tra i protagonisti più significativi troviamo: Kenny Scharf, Lady Pink, Fab5Freddy, Futura 2000, Ice One, George Lee Quinones. Nei primi anni ’80 da quella metropoli si diffonde il messaggio che scrivere e disegnare su spazi pubblici di particolare interesse sociale (le linee metropolitane che attraversano la city da una periferia all’altra) è una espressione artistico-filosofica, dai vari gradi di comprensione e cultura, nel rispetto della libertà e nella scia dell’idea dell’arte per tutti.
Nata nella East Coast, la Street Art si è rapidamente diffusa in tutti i continenti attraverso tecniche espressive poliedriche ed estremamente fantasiose. Steve Powers a New York, Kid Zoom in Australia, Bansky a Londra, Os Gemeos (Otavio e Gustavo Pandolfo, i due artisti gemelli brasiliani classe 1974 che partiti dalla breakdance iniziano a dipingere nel 1987) sono soltanto alcuni fra i più noti protagonisti di questa insolita “avventura artistica”, che ha ormai travalicato i confini di una caotica iniziale sperimentazione per assumere l’identità di un vero movimento, che ha conquistato una nobile collocazione nel quadro dei valori dell’arte contemporanea.
Già alla fine degli anni ’50 un giovanissimo Leonard McGurr (Futura 2000) si avvicina al mondo dei graffiti, ma nella sua ricerca creativa si focalizza anche sull’aspetto proprio della pittura. Illegalmente si appropria di spazi metropolitani con altri artisti come Ali, e negli ’80 inizia ad esporre con artisti a lui affini come Patti Astor, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Richard Hambleton e Kenny Scharf. In tutti loro si ritrova un formidabile connubio tra emozione e razionalità, istinto e pensiero, concetto ed azione. Quelli che si sono anche definiti “guerriglieri dell’arte” invadono sempre più l’Europa ed il resto del mondo. Fino agli anni ’90 le forme di Street Art, considerate inizialmente come movimento post-graffito, sono giudicate azioni vandaliche e sono messi al bando da amministrazioni cittadine non ancora in grado di capirne la loro forza dirompente proprio perché “pubbliche”. Ed ecco che molti artisti decidono di riunirsi in comunità: le “crew”. Tag e graffiti scavalcano le barriere dei luoghi periferici e si impossessano di spazi centrali, spazi d’azione. Si apre la “caccia anti-tag”, emblematica quella di stampo californiano e quella attuata a Los Angeles. Troviamo interessanti fenomeni, rafforzati anche dall’uso di sticker e poster, anche in Europa, in particolare in Francia, Spagna, Germania.
Nel terzo millennio, gli artisti della Street Art sono ormai riconosciuti ed apprezzati, sicuramente non condannati e ricercati. La loro “poetica urbana” è osservata non soltanto con distratta curiosità da casuali passanti, ma anche dagli esperti del mondo dell’arte (che tentano di portare l’arte della Street nella gallerie e nei musei, stravolgendo, peraltro, il senso profondo di quelle espressioni). Il diffondersi del “fenomeno street art” è veloce ed ampio, senza livellamenti, in un momento in cui la cultura delle arti classiche si sta gradualmente modificando.
I più qualificati e conosciuti rappresentanti appartengono alla generazione dell’ultimo quarto del XX° Secolo (tra le “icone”: Shepard Fairey americano classe 1970, Bansky inglese classe 1974 (1975?)), Space Invader francese classe 1979 e il caso dell’artista che non esiste, opera d’arte vivente creata da Bansky, ovvero Mr. Brainwash. Essi possono essere definiti i paladini dell’agonia artistica di un secolo di ricerche, a volte affannose e confuse, di nuove vie di espressione e comunicazione all’interno di una società in continua ebollizione, costretta a subire il delirio di dittature solitarie o collettive nonché la reazione scomposta di movimenti giovanili in cerca di formule edonistiche caratterizzate anch’esse da opposti estremismi, laici o religiosi. Al tempo stesso, però, essi appartengono ad un’avanguardia che anticipa la visione di un XXI° Secolo, che preannuncia di ribaltare lo stesso concetto di Arte, com’è stato comunemente percepito e definito, mediante l’introduzione di nuovi parametri estetici. In tal senso, la Street Art rischia di mettere in crisi tutti gli altri movimenti artistici che l’hanno preceduta od accompagnata nel suo sviluppo. Infatti, in un’epoca in cui le masse sottosviluppate a Sud dell’Equatore rivendicano con crescente virulenza il diritto fondamentale di condurre una esistenza dignitosa e pretendono l’abbandono coatto dei privilegi da parte delle classi abbienti dell’emisfero Nord del pianeta, la scoperta o rivalutazione del “sociale” fatta dalla Street Art rischia di appiattire ogni altra espressione. La formazione artistica della gente avverrà sempre più nelle strade e questo linguaggio artistico entrerà, prima o poi, nelle residenze private, riempiendo di visioni e pensieri muri esterni ed interni. Muri pronti ad essere sempre variati, personalizzati, attualizzati, “cancellati” e rielaborati.
Una caratteristica fondamentale della Street Art è quella di poter essere osservata, criticata, dileggiata, esaltata, perseguitata da tutti coloro che usufruiscono del panorama urbano. Artisti come Diamond, Invader e JBRock, creano mappe in continuo aggiornamento che diffondono tramite Google, in quanto Internet è un canale di diffusione molto usato dagli street artisti, che non disprezzano neppure gli altri social network come MySpace e Facebook. L’arte si pone quindi al servizio del gusto estetico della “gente comune”, fondendosi intimamente con lo scenario urbano, mirando a diventarne parte integrante (muri assegnati legalmente o no). In tal modo, l’opera è suscettibile di essere valutata per la diversità di situazione di vario tipo che il contesto cittadino, nel quale è stata concepita e realizzata, può proporre al fruitore del momento. Ad esempio, un giorno piovoso ed invernale può rendere triste il messaggio e, viceversa, un sole splendente può dare maggiore gioia all’immagine dipinta. Ed ancora, un caotico traffico cittadino può rafforzare, o generare, l’aspetto ossessivo o alienante, mentre quel senso di apparente solitudine tipica del primo mattino può attenuarne i tratti drammatici, gli aspetti violenti, le forti provocazione ed aggiungere, invece, un vago sapore nostalgico. La Street Art è, di conseguenza, la più diretta e completa forma di arte contemporanea ambientale e sensoriale in continuo divenire. Infatti, le costanti dell’immagine rappresentata e relativi messaggi sono perennemente rimpostati dal singolo osservatore, che, come in una performance, diventa parte integrante dell’opera stessa e in balia di sensi propri o circostanti: si azionano vista, udito, olfatto, tatto e gusto.
L’artista della “Street”, a volte inconsapevolmente, realizza opere destinate ad essere variamente interpretate perché inserite in un contesto urbano estremamente mutevole. In esse esiste un’alterazione della percezione in quanto ogni lavoro, per essere capito realmente, avere senso compiuto ed ottenere le “ricadute” desiderate, deve essere percepito e collocato nel giusto spazio-tempo. Da questo punto di vista si può parlare di “forma di comunicazione polivalente”, che attraversa e supera il concetto stesso di comunicazione in quanto suscettibile in ogni momento di variazione a seguito di fattori esterni: giornata, stagione, situazione cittadina e osservatore (superamento completo delle contaminazione climatiche proprie dell’Impressionismo).
Ciò che rende diversa la Street Art da ogni altro tipo di arte è il contenere un fattore del tutto fuori dal potere e dalla capacità artistica dell’autore. Spesso lo si definisce “casualità metafisica”, riportando alla memoria indagini scientifico-artistiche inerenti all’equilibrio caotico (frattale) con la sua variabile costante. L’artista invia un messaggio e questo è interpretato in modi differenti, al di là della sua reale intenzione. Sarà una mescolanza di situazioni ed un misterioso “deus ex machina” a guidare l’impatto con il momentaneo fruitore.
Il viandante urbano può trovare molteplici espressioni artistiche nelle strade della città: figurativo, astratto, concettuale, informale, decorativo, cubista, espressionista, impressionista, pop, surrealista… Chiunque passi di fronte ad un lavoro di Street Art è portato a “cannibalizzare” mentalmente tutto. E così, i ricordi o le impressioni della sua conoscenza artistica o memoria visiva si sovrappongono disordinatamente nella memoria e la conseguente possibile confusione ritrova un equilibrio e diviene più nitida grazie alla tecnica usata dall’artista ed al luogo in cui l’opera è inserita (pareti, edifici, marciapiedi, ecc.), Dunque, alla fine ciò che conta è il risultato d’insieme. L’incontro tra l’opera ed il passante è spesso casuale, quindi il fruitore non è “preparato” all’impatto visivo e mnemonico. La sorpresa e la curiosità facilitano l’interpretazione del momento, rendono piacevole (non troppo impegnativo) il contatto tra opera ed osservatore, che si ferma oppure “attraversa” l’ambiente, ma comunque metabolizza, riflette e valuta, diventando, seppur con intensità diverse, egli stesso un critico d’arte.
La Street Art è prodotto legato alla sociologia e sicuramente alla globalizzazione, mediante la quale ogni attività viene metabolizzata dall’opinione pubblica. Nel corso degli anni, questa forma d’arte e filosofia è diventata sempre più messaggio universale, attraversando i vari confini della conoscenza empirica. In tal senso, si può dire che il valore di una “Street opera” trascende il singolo giudizio; è la sua stessa esistenza nel contesto urbano ad assegnarle un certo valore; ma è la forza del contenuto ad attribuire il valore aggiunto. La Street Art ha anche un valore educativo, poiché inserisce nello scenario urbano non soltanto un valore estetico, che chiunque può apprezzare o dispregiare, ma anche un messaggio satirico, ironico, politico, elogiativo, di protesta, ecc. Essa può anche considerarsi un progetto di architettura urbana, Si ricordi, a proposito, come negli anni ’70 noti architetti ipotizzassero città decorate e funzionali (giardini, piazze, viali, ecc.), liberate dalle brutture di periferie inospitali e trascurate (dove ci si imbatteva ancora nelle macerie della Seconda Guerra Mondiale). Costoro immaginavano un panorama urbano a misura d’uomo, in grado di rappresentare una sorta di continuazione della personale residenza collettiva open air all’interno del quale i cinque sensi del viandante potessero trovare sfogo in quello che la vita fosse stata in grado di offrire in termini estetici e funzionali. In fondo, è il desiderio affine a quello degli street artisti che trasformano angoli della città in “isole estetiche”, dove il passante è catturato da un mondo di colori e forme, evocatrici di un “iperuranio” suscettibile di dare all’arte anche una valenza terapeutica.
È la molteplicità dei simboli, dei significati, dei valori, dei mezzi espressivi a rendere la Street Art un movimento non facile da catalogare e valutare. Si può dire che in essa ritroviamo tutta l’ambiguità della nostra epoca all’interno della quale il prodigioso progresso scientifico è accompagnato da un pauroso vuoto dell’essere. L’uomo contemporaneo, geniale protagonista di scoperte sempre più mirabolanti e di conquiste incredibili, più che mai artefice della propria esistenza, incomparabile ed inesausto viaggiatore del suo tempo verso un futuro sempre più prossimo, si conferma incapace di conoscere se stesso (ricordiamo lo “gnosce te ipsum” di Socrate) ed è pertanto portato a trasformare la propria creatività in un processo di autodistruzione. Lo street artista vuole forse denunciare questa flagrante contraddizione, e lo fa nel modo più clamoroso, uscendo dal suo atelier, dal “clan del mondo dell’arte” e mischiandosi tra la folla. Egli spera, forse, che la sua opera raggiunga il più vasto numero di persone per trovare colui o coloro in grado di invertire questo perverso senso di marcia e trasformare il folle progetto suicida dell’umanità in un percorso virtuoso, in direzione di un autentico progresso etico e morale dell’uomo.
Una forma di espressione artistica sempre più virale, che si diffonde oltre i confini nella quale è nata e si è sviluppata – tant’è che il fenomeno sta approdando anche nel campo della fotografia con la recente nascita del primo “Street Photography Awards” per mostrare il modo in cui l’artista vede il mondo, l’ambiente urbano e le strade che, con uno scatto, fa proprie.
Anche in Italia gli street artisti si sono ormai conquistati un ruolo nel panorama culturale e si possono scoprire molte opere di notevole interesse, come quelle di Mr. Wany, Tv Boy, Sten e Lex, Ozmo, Lucamaleonte, JBrock, Eron, Diamond, Dem, Artcock.
A Roma – cui la presente guida è dedicata – ci sono oltre 330 murales disseminati in circa 150 strade di tredici municipi, da Testaccio a Tor Bella Monaca. Tra tutti: i murales di Hitnes a San Basilio, le visioni di Blu in via Ostiense, lo storyboard di Alice in via dei Sabelli, i muri del Quadraro di Agostino Iacurci, Ron English e Lucamaleonte, Sten e Lex a Tor Pignattara. Ed ancora, Tor Marancia un quartiere ricco di storie narrate, racconti di esistenze, riflessioni immortalate dagli interventi di Gaia, dell’artista argentino Jaz e di Jerico. E poi, la “Madonna bizantina”, dalla cui cornice spunta un drago, di Mr. Klevra (che ha voluto ricordare l’ex nomignolo cinese, “Shanghai”, dato alla zona), il murale “Hic sunt adamantes” stile Art Nouveau di Diamond, il bambino (Luca, morto dopo un incidente mentre giocava a calcio) che sale delle scale colorate e guarda oltre i palazzi di cemento dipinto dall’artista francese Seth, la natura morta di Reka. Storie contemporanee che rappresentano la continuità della Storia dell’Arte di una delle città-simbolo dell’archeologia, dell’antichità e della modernità. Roma, che, nel corso della sua storia, è stata ineguagliabile foro di ricerche artistiche, sperimentazioni estetiche e progettazioni urbanistiche, è l’“humus” ideale per attraversare il “tempo della creatività”, anche perché permette, tramite frequenti e proficui flash back, di ammirare e capire l’evoluzione dell’Uomo.