La Boston Marathon si disputa tutti gli anni dal 19 aprile 1897, ed esattamente il terzo lunedì di aprile, durante il Patriot’s Day,
Negli anni ’60 però le donne non erano ammesse a questo evento sportivo perché giudicate inadatte a correre lunghe distanze.
Ma nel 1947 nacque Kathrine Switzer. Una ragazza che amava correre e che ben presto, nonostante la bravura, venne esclusa dalle manifestazioni maggiori che non prevedevano la partecipazione femminile.
All’epoca si pensava che le maratone dove erano previste lunghe distanze, potessero compromettere le capacità riproduttive delle donne.
Ma questo non la scoraggiò, poiché sicuramente era nata per partecipare alle competizioni separate. Arrivata al Lynchburg College, continuò nella sua attività sportiva.
Fu notata, presto, dal coach della squadra maschile di corsa, il quale la fece allenare con il suo team.
Quando gli abitanti vennero a sapere della nuova arrivata si scatenarono in minacce di ogni tipo arrivando ad ipotizzare che Dio l’avrebbe fulminata per aver osato tanto.
Però fu solo nel 1966, una volta finito il college, che Kathrine incontrò Arnie Briggs.
Un maratoneta che aveva già partecipato a ben 15 edizioni della Boston Marathon. Fu lui ad instradarla alla corsa su distanze più lunghe ma, quando, Kathrine espresse il desiderio di partecipare alla Maratona di Boston, l’uomo non la prese sul serio.
Riuscì a convincerlo e, vista l’impossibilità di iscriversi alla maratona come donna, si registrò come “K.V. Switzer” partecipando come membro dell’Athletic Club Siracusa Harriers…
La cosa passò inosservata sino a quando i fotografi non si accorsero che una donna stava correndo in mezzo ad una moltitudine di uomini e cominciarono a gridare: “C’è una ragazza!”, quindi si precipitarono di fronte al gruppo e cominciarono a scattare foto.
Una sequenza di fotografie ritrae l’assalto di Jock Semple, il direttore di gara, che cerca di trascinarla fuori dal circuito della maratona. Semple si avventa su di lei come un indemoniato, cerca di strapparle la pettorina, urla: «Get the hell out of my race and give me those numbers!». Vai all’inferno, esci dalla mia gara e dammi questo numero. Lei risoluta corre in avanti, con il numero 261 ben in vista, il volto teso in una smorfia, i gomiti all’infuori per proteggersi dalla prepotenza di Jock.
Non ebbe un attimo di cedimento: quell’uomo la strattonava, ma lei continuò la corsa.
A salvare la situazione intervennero i membri della sua squadra: l’allenatore Arnie Briggs e il fidanzato Tom Miller, campione di lancio del martello.
Riuscì a terminare la gara anche se la Boston Marathon del 1967 fu vinta dal neozelandese Dave McKenzie.
Ma questo pose le basi affinché la maratona di Boston, cinque anni dopo, fosse aperta alle donne.
La partecipazione di Kathrine Switzer nel 1967 verrà riconosciuta come non ufficiale. La Switzer vincerà la sua prima maratona solo nel 1974. Eppure, al di là dei riconoscimenti possibili, la Boston Marathon ha avuto una sola protagonista indiscussa: Kathrine Virginia Switzer, numero 261.
Nel 2011 fu inserita nel National Women’s Hall of Fame per aver dato vita ad una rivoluzione sociale a favore dell’emancipazione delle donne in tutto il mondo.